Roma - «Non possiamo tornare indietro sulle riforme, non ci siano strumentalizzazioni che chiedano modifiche tali da dover dire di no». Il messaggio del vice segretario del Pd, Debora Serracchiani, è chiarissimo: nessuna concessione alla dissidenza, che ha minacciato il Vietnam se non si accetterà di rendere elettivi i senatori. Parole molto dure che evidenziano come nel «giglio magico» si consideri tutt'altro che remota la possibilità di andare sotto al Senato e aprire una crisi con sbocco elettorale. È lo stesso entourage del premier, perciò, a evocare come fattuale la scissione della minoranza bersaniana, sebbene non sia ancora avvenuta.
Tre indizi fanno una prova. Il primo: nonostante la pausa estiva, secondo quanto si apprende, gli antirenziani starebbero organizzandosi per salire al Quirinale, in caso di consultazioni, con i loro rappresentanti. Eppure la riforma costituzionale non andrà a Palazzo Madama prima di ottobre in quanto il mese prossimo farà il suo doveroso passaggio in commissione Affari costituzionali. Questi rumors confermano le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi secondo cui nell'ultima occasione conviviale prima del «rompete le righe» i ventotto senatori del Pd ostili al premier-segretario avrebbero esplicitamente scelto la linea di mettere il governo in minoranza. I loro voti sono, infatti, necessari per raggiungere quota 156, senza - stando agli ultimi conteggi del sottosegretario Luca Lotti - ci si fermerebbe a 148.
Secondo indizio: la concitata intervista del direttore di Repubblica , Ezio Mauro, rilasciata ieri al Foglio . Il direttore del quotidiano che si pregia di essere un punto di riferimento anche politico per il centrosinistra ha messo in guardia Bersani, Cuperlo & C. dal dare fuoco alle polveri. «Una scissione del Pd sarebbe una sciagura per il Paese», ha dichiarato, in quanto «significherebbe perdere l'occasione che in Italia possano esistere un partito progressista e un partito conservatore». Chiaro riferimento al fatto che le truppe cammellate di Ncd e di Ala, un tempo di centrodestra, sono già pronte a trasmigrare nel partito renziano «depurato» dagli ex Pci e da chi in quella tradizione si riconosce.
Terzo indizio. L'ex ministro e presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, esponente della minoranza, ha lanciato un ultimo appello contro il napalm. «Gli oltre 500mila emendamenti presentati al Senato - ha detto - non sono il frutto di una normale e legittima battaglia di opposizione, ma il tentativo di mettere in discussione il governo e non possiamo renderci complici di una scelta del genere». Ecco perché ha rilanciato l'ipotesi di inserire un listino ad hoc per l'indicazione dei senatori alle elezioni regionali. Un compromesso che sembrerebbe andar bene anche al capogruppo a Palazzo Madama, Luigi Zanda, e del quale sarebbe investita anche la presidente della prima commissione, Anna Finocchiaro.
Il muro contro muro, però, sembra sempre più probabile. «Sul Senato elettivo non si scelgano scorciatoie», ha ribattuto Federico Fornaro della minoranza. Che è un po' come sfidare Renzi e Boschi a vedere quali carte abbiano i bersaniani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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