Il Pd in piena guerra civile Mezzo partito apre ai 5 Stelle

Renzi continua a pungere la sua minoranza e molti di loro strizzano l'occhio ai grillini per il sostegno al reddito di cittadinanza in vista delle amministrative

Il segretario del Pg Guglielmo Epifani col capogruppo Roberto Speranza
Il segretario del Pg Guglielmo Epifani col capogruppo Roberto Speranza

Il ceffone ai suoi predecessori al governo, e soprattutto a chi prima di lui, ma con scarso coraggio, ha guidato l'inconcludente sinistra italiana, è sonoro: «Se avessimo fatto ciò che avremmo dovuto fare prima, quando le riforme le hanno fatte gli altri paesi, l'economia sarebbe oggi più forte». Da Firenze, dove era ieri per chiudere il meeting su «Lo stato dell'Unione», il premier ne approfitta per rispedire al mittente le accuse di «decisionismo» della sinistra benpensante: «I problemi, in Italia, sono nati proprio dall'incapacità dei politici italiani a gestire le sfide e prendere decisioni», ricorda. «Noi non stiamo pensando di venire qui a dire “adesso ci siamo noi”, modello pistolero nei film western, e risolviamo tutto noi. Noi non siamo i risolvi problemi ma siamo persone semplici. Io posso anche sbagliare, ma almeno ci provo. C'è una sinistra che vuole cambiare, e una che vuole perdere». Poi Renzi zittisce Renato Brunetta che parlando dell'Italicum ha parlato di «fascismo renziano»: «Così si profana la memoria dei morti». Il presidente dei deputati di Forza Italia replica: «Il giovin fiorentino le cavolate e le frescacce le dice ad ogni ora del giorno e alcune volte anche della notte».

Il premier vola poi in Val d'Aosta e Liguria per la campagna elettorale, dividendosi tra i compiti di governo e quelli di leader politico del Pd. Mercoledì Renzi sarà presente all'assemblea dei deputati Pd, chiamati ad eleggere il successore di Roberto Speranza, che ieri ha strizzato l'occhio a grillini e Sel lanciando una proposta sul «reddito minimo» a 500 euro. Un modo per caratterizzare a sinistra la minoranza bersaniana e per sfidare il governo, che con il ministro Poletti apre molto cautamente: «Discutiamone». A Montecitorio il candidato più accreditato resta l'attuale vicario Ettore Rosato, renziano. Ma c'è chi paventa rischi a voto segreto e non esclude sorprese dell'ultimo minuto da parte del premier. Ma l'esito del voto sull'Italicum ha dimostrato che l'ala oltranzista della vecchia Ditta alla Camera resta confinata a numeri ininfluenti.

A Palazzo Madama però i pochi senatori pasdaran della fronda bersaniana bastano a tenere la maggioranza sotto ricatto continuo. La saldatura tra bersaniani e civatiani al Senato si è compiuta, dando vita ad un gruppetto di una ventina di parlamentari pronti a tutto per azzoppare l'odiato Renzi, restando per ora nel gruppo Pd. Anche i seguaci dell'ormai fuoriuscito Pippo, come Corradino Mineo, preferiscono non seguirlo nella sua solitaria scissione, ben sapendo che altrimenti la loro visibilità da «dissidenti» in servizio permanente si esaurirebbe all'istante. A tenere compagnia a Civati, ieri, è arrivata solo la europarlamentare Elly Schlein, giovane pasionaria di Pippo, che ha annunciato di aver deciso di abbandonare il Pd. La questione «scissione», se mai, si riaprirà più in là: se nei prossimi mesi il governo si trovasse ad imbarcare in maggioranza pezzi di centrodestra per sopravvivere al Vietnam del Senato, ragionano nella minoranza, l'occasione per una rottura potrebbe profilarsi.

La situazione è precaria, come ha spiegato il capogruppo dei senatori Luigi Zanda a Renzi giovedì: negli scorsi giorni, i due votazioni, la maggioranza c'è stata solo per un voto: l'incidente è possibile ad ogni svolta. Per questo il calendario di Palazzo Madama, di qui alle Regionali, è stato praticamente anestetizzato: fino al voto, si farà melina o poco più.

Poi si deciderà, soprattutto sulla riforma del Senato, che è lì parcheggiata: il governo ribadisce di essere pronto a mediazioni concordate, ma in realtà i margini tecnici di modifica sono minimi in seconda lettura, e Renzi sa bene che per la fronda la battaglia sulla riforma è solo un pretesto per la guerra contro di lui, con l'obiettivo di «riprendersi la Ditta». Ma sa anche di poter contare su un amuleto infallibile: nessun senatore (neppure della minoranza Pd) vuole andare a casa: ci penseranno dieci volte, prima di far saltare il governo.

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