Se sono avvisaglie del «finale di partita», al rientro dalle vacanze ci sarà poco da stare allegri. Una «legislatura perduta», dice il capogruppo forzista Brunetta riferendosi allo stato dell'economia. Ma il quadro sta diventando assai più inquietante e cupo, e tocca quasi ogni settore. Sintesi allarmata è quella dell'esperto centrista Casini che ieri implorava «un po' di sobrietà» ai sostenitori (si fa per dire) del governo Gentiloni. «Basta farsi del male sullo ius soli, sembriamo i capponi di Renzo mentre l'Italia è alle prese con un'autentica emergenza sbarchi...».
Vero - e senza aggiungerci la malacura per il territorio, i disservizi nella Capitale, le inchieste giudiziarie, i guai bancari -, ma si potrebbe anche parafrasare la frase e definirci tutti «capponi di Renzi», considerato che molti dei magneti ruotano attorno all'energia (ormai nera) dell'ex premier. Alle sue malefatte, alle sue polemiche, alla sua fretta sospetta per una legge (lo ius soli) che stava innescando l'«incidente» capace di far precipitare le cose. Al punto che, prima di tornare a parlare di porre la fiducia («irresponsabile», aveva stoppato Paolo Romani, capogruppo Fi al Senato), il Pd ha annunciato un rallentamento, con verifica dei numeri, considerate le frizioni con gli alfaniani. Il vicesegretario Pd Martina ieri ha dovuto rassicurare Gentiloni: «Siamo al fianco del governo» (excusatio petita?). E se Salvini esultava per un rinvio che potrebbe far slittare la legge a dopo l'estate, Cicchitto si dichiarava «meno ottimista: la segreteria del Pd dopo aver pressato Gentiloni in tutti i modi adesso cerca di mettere il cerino nelle sue mani, cercando di cancellare le proprie impronte digitali...». Accelerazione colpa delle faide interne al Pd, si chiedeva Malan (Fi), «o ci sono impegni internazionali perché l'Italia faciliti l'invasione degli immigrati?».
Di sospetto in sospetto, di lite in lite, ci si crogiola insensatamente attorno alle frasi scritte da Renzi nel suo libro, Avanti. «Ho fatto discutere e questo mi fa piacere», se la godeva l'autore in post su Fb. Rivendicando, come sempre, la paternità della crescita del Pil, secondo la revisione delle stime di Bankitalia (da 1 a 1,4%). «Se i dati economici sono migliori è perché la strategia di crescita e di riforme fatta durante i Millegiorni sta dando i primi frutti». Sì, i primi frutti dopo 215 giorni di sua assenza da Palazzo Chigi. Ma questo all'ex premier poco importa, così come le reali motivazioni che ci sono dietro a queste stime in rialzo (in Europa lo sono assai di più).
A Renzi importa invece polemizzare con un altro dei suoi predecessori, Mario Monti, caustico sul veto al fiscal compact proposto nel libro renziano. «Senza senso tenere il deficit al 2,9%, mi sembra un'improvvisazione in cui l'annuncio precede la riflessione, come quando annunciò la strategia fiscale», ha dichiarato Monti in un'intervista nella quale abbondano autodifese e giudizi assai poco lusinghieri sul successore. «Dibattere con Renzi è impossibile, le argomentazioni degli altri non gli interessano. Come un disco rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse. Rumore e rissosità crescono esponenzialmente, l'impatto tende allo zero. Pari a zero è anche il suo rispetto per gli interlocutori e la realtà... Dove brilla per viltà è quando mi accusa di aver lasciato oneri a carico dei futuri governi...». Monti lo definisce «accecato prima dal successo e poi dall'insuccesso» e ricorda come «pretese di governare quando un collega lo stava facendo dignitosamente».
Replica del leader Pd: «La cultura dell'austerity ha aumentato la povertà, un Pil negativo e fatto crescere le disuguaglianze». Averlo capito nei primi Seicentogiorni, quando faceva il pupillo e portaordini della Merkel, non sarebbe stato male.
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