C' è un esercito di pensionati, tutti infuriati e preoccupati. Sono sulla soglia dei 3mila euro al mese che, è bene ricordarlo, sono lordi e corrispondono a un assegno mensile inferiore ai 2mila euro. Tutte le anticipazioni di questi giorni dicono che, in quanto benestanti, vedranno poco o niente dei rimborsi che il governo intende riconoscere a chi ha avuto la rendita tagliata nel 2012 e nel 2013. Nel decreto del governo, che dovrà dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale contro il taglio del governo Monti, ci saranno forti limitazioni. Nella cifra da riconoscere ai pensionati innanzitutto. Sopra i 1.500 euro il recupero sarà molto limitato, poco sopra il 50% dell'inflazione. E la percentuale calerà ulteriormente per le fasce di reddito successive, fino a scomparire forse proprio oltre la soglia dei 3mila/3.500 euro.
Loro, i pensionati infuriati, per lo più quadri e manager, per tutta risposta hanno preso d'assalto i centralini delle associazioni di categoria per chiedere cosa fare. Se impugnare subito la carta bollata o aspettare. Si prospetta quindi una pioggia di ricorsi. Una partita di boxe dalla quale lo Stato rischia di uscire con le ossa rotte, cioè con un carico di spese extra. Difficili da prevedere.
L'avvocato di Manageritalia e Federmanager Riccardo Troiano ha lanciato al governo un messaggio attraverso l'Ansa: «Un intervento che preveda rimborsi solo ad alcune fasce di pensionati o una graduazione con restituzioni parziali sarebbe illegittimo: le categorie promotrici dell'azione finita alla Consulta, sono pronte a fare ricorso». Posizione netta. Impossibile, secondo il legale, una soluzione intermedia. «Tutti quelli che percepiscono un trattamento superiore a tre volte il minimo sono legittimati a chiedere il rimborso della rivalutazione non corrisposta 2012-2013 e gli arretrati relativi a 2014 e 2015 che vanno rivalutati alla luce dei maggiori importi dei due anni precedenti. Di per sé, un intervento del legislatore non è indispensabile».
È bene ricordarlo, spiega Alberto Sartoni, direttore della Cida, la confederazione che riunisce le organizzazioni dei dirigenti di impresa, tutto parte da cause di singoli promosse negli anni passati dalle stesse associazioni, con l'obiettivo - centrato - di portare il caso davanti alla Corte costituzionale. «Metodo applicato per tutti i blocchi della perequazione dagli anni Novanta a oggi». Delle cause pilota che partono dalla magistratura ordinaria. Così come le cause che potrebbero partire nei prossimi giorni se dal prossimo consiglio dei ministri non uscirà una soluzione equa.
Nessuna chiusura pregiudiziale, aggiunge Luca Abbatelli, responsabile ufficio legale di Manageritalia. Ma se il governo non ascolterà le associazioni «i pensionati potranno fare ricorso facendo valere l'eccezione pregiudiziale di incostituzionalità». Cioè potranno andare all'incasso. E allo Stato toccherà pagare anche le spese processuali e gli interessi.
Anche un'altra confederazione, Confedir, che si occupa di dirigenti pubblici, vede rischi anche per la pubblica amministrazione. «Una decretazione governativa di urgenza» non «risolverebbe nulla, perché sarebbe subito impugnata dai una marea di pensionati», ha scritto recentemente il presidente Stefano Biasioli. Le associazioni sono pronte a farsi carico dei ricorsi, ma per ora aspettano di leggere cosa deciderà il governo. «È una partita totalmente aperta», confermano.
Una minaccia che per il momento il governo non sta prendendo troppo in considerazione. A preoccupare l'esecutivo sono ancora i soliti due dilemmi.
Quanto rimborsare, tanto che si profila l'ipotesi di un rimborso «dimezzato», per tutti ma solo per un anno e soprattutto quando, se approvare subito il decreto o aspettare dopo le elezioni. Continua il braccio di ferro tra Palazzo Chigi e il ministro dell'Economia, con il premier Matteo Renzi che vorrebbe tentare il rinvio e Padoan che ha dato garanzie alla Commissione Ue su tempi rapidi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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