Tito Boeri sposa la tesi di Matteo Renzi. Senza citare il caso della 62enne che vuole stare a casa con il nipote: come ha fatto il premier per illustrare le linee guida della riforma delle pensioni agganciata alla prossima legge di Stabilità, il presidente dell'Inps giudica «importante» introdurre maggiore flessibilità in uscita per le pensioni.
Ma da economista e da presidente dell'istituto previdenziale, guarda i conti. E fa quasi capire che le eventuali uscite anticipate devono tenere conto del sistema contributivo. Di più non dice. L'argomento, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale e dei maggiori costi a carico del governo, è sotto i riflettori da troppi giorni. Per di più, in piena campagna elettorale.
Così, Boeri, osserva che «se nel 1995 avessimo passato tutti i lavoratori al contributivo pro rata, la situazione oggi sarebbe stata molto diversa». Il riferimento è alla riforma delle pensioni varata dal governo Dini nel 1995. In quell'occasione venne stabilito che potevano conservare il regime di calcolo dell'assegno in base alla media degli ultimi stipendi soltanto i lavoratori che, al 1995, avevano un minimo di 18 anni di contributi.
Una soluzione oggi tema di riflessione da parte di Boeri. Ma anche di Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review e oggi rappresentante per l'Italia al Fondo monetario (dopo una vita trascorsa a Washington come funzionario dello stesso Fmi).
Forse per i lunghi anni passati oltreoceano, Cottarelli - da sempre - è fautore di una riforma previdenziale sul modello americano. Sebbene Italia e Stati Uniti abbiano strutture sociali ed economiche completamente diverse.
«La realtà è che la spesa per le pensioni in Italia è intorno al 16,5% del Pil ed è la più alta tra i Paesi avanzati», ricorda Cottarelli a Radio anch'io . Pertanto «sarebbe necessario - aggiunge - varare un provvedimento ben disegnato».
E la prima soluzione che suggerisce è quella di «fare modo in modo che il livello delle pensioni sia pari ai contributi effettivamente versati».
In altre parole, anche lui sostiene la necessità di estendere il sistema contributivo per tutti.
E spiega. «Per fare un esempio: il Giappone, che pure ha una popolazione molto anziana, spende l'11-12% del Pil per le pensioni». Meno dell'Italia. Ma «nella spesa italiana - aggiunge - ci sono delle voci che sono classificate come assistenza in altri Paesi». Un ragionamento che il sindacato fece proprio a ridosso dell'approvazione della riforma Dini del 1995.
Cottarelli, però, lo smonta alla base. «Se togliamo anche quelle (le spese per l'assistenza), che valgono circa 2 punti di Pil, si arriva comunque intorno al 14,5%: livello che resta il più elevato tra tutti i Paesi avanzati e che toglie risorse ad altre forme di spesa».
Cottarelli, poi, condivide la decisione del governo di confermare gli obiettivi di bilancio, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale. Anche se il rispetto della sentenza comporta una restituzione parziale dei soldi attese dai pensionati. «È stata una scelta giusta», dice.
«Il debito pubblico è molto elevato e se i tassi di interesse cominciassero a salire sarebbe un problema» per il rispetto dei saldi di bilancio. Secondo Cottarelli, la spesa per la previdenza in Italia è così alta perché «la popolazione è più anziana che in altri Paesi» e «un altro motivo è che in passato le pensioni erano superiori ai contributi effettivamente versati». Senza contare che intere categorie di lavoratori (una su tutte, i coltivatori diretti) ricevono trattamenti previdenziali senza aver versato un solo contributo.
A proposito della separazione tra previdenza e assistenza, Tito Boeri annuncia «una proposta chiavi in mano» che verrà presentata a giugno per affrontare il problema della fascia di povertà compresa fra i 55 ed i 65 anni.
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