Peschereccio speronato prima di affondare: 3 arresti

In manette il comandante, l'armatore e il primo ufficiale della petroliera Vulcanello

Peschereccio speronato prima di affondare: 3 arresti

L'inabissamento al largo di San Vito Lo Capo il 12 maggio 2020 del peschereccio Nuova Iside (nella foto), che scomparve con i tre membri dell'equipaggio, non fu un incidente.

Secondo la procura di Palermo il natante entrò in collisione con la petroliera Vulcanello, che non fece nulla per evitare lo scontro né, tantomeno, per tentare un soccorso dopo l'avvenuto urto. La Guardia costiera, su disposizione del gip Annalisa Tesoriere, ha arrestato l'armatore, il comandante e il terzo ufficiale di coperta della Vulcanello, già indagati perché sospettati di avere provocato l'affondamento del motopesca e di avere occultato le prove. È ricercato il timoniere.

Il comandante Gioacchino Costaiola, 47 anni, napoletano, e il terzo ufficiale di coperta, il 27enne Giuseppe Caratozzolo, di Palmi, sono in carcere. Sono accusati di naufragio, omicidio colposo e omissione di soccorso, come anche il timoniere romeno Mihai Jorascu. L'armatore, Raffaele Bruno, 75 anni, che è stato sottoposto agli arresti domiciliari, deve rispondere di frode processuale e favoreggiamento personale. Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, l'impatto tra i due natanti ci fu e si tentò di occultarne i segni ridipingendo la petroliera. Per l'equipaggio della Nuova Iside non ci fu scampo: due corpi furono recuperati dalla guardia costiera e solo oltre un mese dopo la tragedia il terzo corpo fu rinvenuto sulla spiaggia di Gioia Tauro.

«La situazione di potenziale collisione è inequivocabile è scritto nell'ordinanza di custodia cautelare - ma non risulta che sia stata adottata alcuna contromisura dal personale di bordo della petroliera tra le 23.02 e le 23.04, periodo in cui entrambe le imbarcazioni si trovano a una distanza estremamente ravvicinata tra loro». E ancora: «Nulla è stato fatto per accertare cosa fosse successo, nessun segnale di allarme è stato inviato, la petroliera ha proseguito la propria rotta» rallentando la velocità quasi in concomitanza di 4 urti e una «variazione repentina dell'angolo del timone e anche della rotta (di 1 grado) compatibili con una potenziale collisione». Dai rilievi effettuati dagli inquirenti è emersa poi una «sovrapitturazione dell'opera morta dello scafo», ossia della parte del natante al di sopra della linea di galleggiamento, ordinata dall'armatore per «mutare artificiosamente lo stato dei luoghi».

Soddisfatti dell'esito delle indagini i familiari delle vittime, che hanno continuato a sostenere che fosse accaduto «qualcosa di tremendo» e, vista l'esperienza dei propri congiunti in mare, non si sono arresi nemmeno dinanzi alle ipotesi di avverse condizioni meteo.

«Confidiamo nel lavoro della magistratura dicono Rosalba Cracchiolo, mamma di Vito (comandante) e moglie di Matteo (padre di Vito), e Cristina Alaimo, moglie di Giuseppe -. Chiediamo giustizia. Chiediamo la verità. I nostri cari non torneranno più, ma chi ha sbagliato è giusto che paghi».

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