«Petrolio tra Libano e Israele, serve la mediazione dell'Onu»

L'esperto di energia Baroudi si rivolge a Ban Ki Moon: «Risorse che possono aprire nuova era di pace nell'area»

Matteo Basile

Tra le pieghe di un conflitto sanguinoso che si trascina in maniera più o meno cruenta da decenni, ci sono tante questioni irrisolte che aggiungono problemi a problemi. È il caso della questione energetica, corollario non certo marginale delle tensioni tutt'ora esistenti tra Libano e Israele.

Roudi Baroudi, cittadino libanese con oltre 37 anni di esperienza nel settore energetico sia pubblico che privato, con esperienze ed incarichi di prestigio tra Europa, Medioriente, Stati Uniti e Africa, ha scritto una lettera aperta al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon perché intervenga direttamente sulla questione. In primis per cercare di sanare definitivamente un conflitto che, al di là delle operazioni belliche, è di fatto ancora in essere; poi per affrontare la spinosa questione energetica alla luce delle sue informazioni che, a suo dire, potrebbero risolvere il problema energia in tutta l'area e portare a un futuro migliore per gli abitanti della zona.

Il problema è la sovrapposizione tra i confini marittimi del Libano e di Israele per una superficie di circa 840 chilometri quadrati. Lì esiste una potenziale risorsa di gas e petrolio assai significativa ma di fatto inutilizzabile. «La soluzione è quella di risolvere la questione in modo tempestivo, riducendo così la minaccia di una guerra, incoraggiando investimenti e andando avanti con l'attività di sviluppo di una risorsa che promette enormi benefici socio-economici per tutti i popoli coinvolti», spiega Baroudi nella sua lettera aperta.

Una soluzione alle porte ma un problema ancora molto difficile. Perché Libano e Israele non riescono autonomamente a trovare un accordo su come gestire quella porzione di territorio potenzialmente ricchissima né tantomeno su come suddividere eventuali ricavi. Baroudi quindi si appella a Ban Ki Moon perché dia vita ad un'opera di mediazione. «I due Paesi sono rimasti tecnicamente in guerra dal 1949, non hanno relazioni diplomatiche ufficiali di alcun tipo e i loro rapporti sono mediati da diffidenza incline alla paranoia - racconta - La popolazione della nostra regione merita di vivere in pace. Gli idrocarburi sotto i fondali del Mediterraneo orientale offrono una speranza a tutti noi per il raggiungimento di una nuova era di prosperità, un'era che rompa i cicli di povertà e violenza che non portano a nulla di buono.

Le Nazioni Unite hanno un ruolo indispensabile da svolgere nel far sì che le risorse in questione siano un combustibile per lo sviluppo sociale ed economico e non la causa di altre guerre».

Un accordo non semplice ma sicuramente possibile che potrebbe aprire una nuova fase di sviluppo in un'area per troppo tempo nota alle cronache soltanto per guerre e distruzione.

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