Bombardamenti sulle città con missili ipersonici: morte, distruzione e migliaia di persone senz'acqua né luce. È un orrore quotidiano che all'alba del quarto anno di guerra rischia di non impressionare più, come ha ammesso l'altro giorno Olena Zelenska. Davvero è possibile l'assuefazione a oltre un milione e mezzo di soldati morti e feriti, più di 50mila vittime e feriti tra i civili ucraini, compresi 3mila bambini? Nell'opinione pubblica sembra di cogliere un progressivo aumento della soglia di tolleranza. I neurorecettori si attivano con maggiore rapidità alla notizia della segnalazione dell'Aiea, dopo un'ispezione sul campo: la cupola protettiva della centrale di Chernobyl non è più sicura. Il "sarcofago" in cemento armato è stato danneggiato da un attacco con un drone russo nel febbraio di quest'anno. I sistemi di monitoraggio funzionano, ma "la capacità di contenimento è persa". La mente corre all'esplosione del reattore numero 4 il 26 aprile del 1986 e alla nube radioattiva che avvelenò tutta l'Europa, senza una parola di avvertimento da parte del Cremlino. A quel groviglio di insipienza, atterrito e ottuso rispetto della nomenklatura, totale assenza di merito e qualità nella scelta dei vertici, unita all'opacità e alla disinformazione strutturale che caratterizzava il regime sovietico si deve la sua implosione.
Proprio a partire da quell'occasione, prima ancora della caduta del muro di Berlino tre anni più tardi. Servirebbe la stessa reazione compatta ai crimini di guerra quotidiani perpetrati dall'autoproclamato nuovo Gandhi.