"Piango per Dacca, basta perdono"

Lo sfogo sul web del tecnico veneziano rapito in Libia: "Chi ha fede non sgozza..."

"Piango per Dacca, basta perdono"

«Ho sentito l'odore del dolore. Un dolore indefinito. Pungente che ti entra nell'anima e la sconvolge, ho visto le lacrime sul volto di quelle persone. Ho visto la dignità nel dolore ma non ho provato pietà o pena. Ho provato rabbia. Una rabbia feroce che mi ha fatto crescere un urlo nel petto. L' ho soffocato e sono affiorate le lacrime, amare, acide. Non perdono. Ho deciso che non perdono più. Ho deciso che non voglio più comprendere. Ho deciso di non tollerare più. Un essere umano che ha fede non uccide, non sgozza, non fa esplodere bombe. C'è un seme impiantato nell'islam che si chiama odio, verso tutto quello che è diverso. Un'erba cattiva che va estirpata». Sono le parole di Gianluca Salviato, il tecnico veneziano, rapito in Libia il 22 marzo 2014 e tenuto prigioniero dai terroristi islamici per 243 giorni. Le ha scritte così, di getto, in un lungo post su Facebook, dopo aver assistito con la moglie alla diretta del rientro delle salme dei nove italiani uccisi a Dacca.

Salviato, cos'ha provato a vedere quelle immagini?

«Io e mia moglie eravamo a casa e durante la diretta era impossibile non versare lacrime. Abbiamo pianto insieme. Quando ho visto i volti dei familiari che attendevano le bare a Ciampino, ho immaginato il dolore che queste persone avessero dentro di sé, perché l'ho provato anch'io e l'hanno provato i miei cari. So cosa si prova quando aspetti qualcuno a casa o quando speri di riabbracciarlo. Il sacerdote che ha benedetto le bare si stava piegando in due dal dolore. Non è più concepibile una cosa del genere, non possiamo più vedere immagini così, io non lo tollero più».

Lei è stato tenuto prigioniero, torturato dai terroristi per 243 giorni, cosa sente nei confronti di questi barbari?

«Ho tanta rabbia perché i terroristi mi hanno portato via da casa per otto mesi e tre giorni, hanno fatto soffrire non tanto me, ma tutta la mia famiglia. La ferita è ancora troppo grande, mia madre deve ancora superarla».

Come è cambiata la sua vita da quel giorno?

«È cambiata due volte con due semplici schiocchi di dita. Il primo il 22 marzo quando mi rapirono e il secondo il 15 novembre quando mi hanno liberato. E io in quest'anno e mezzo non ho fatto altro che collezionare nomi di vittime del terrorismo, sono stanco di imprimerli nella mia memoria: Giovanni Lo Porto, Valeria Solesin, Padre Dall' Oglio, Salvatore Failla e Fausto Piano. È ora di fermarli, è ora di reagire. È il momento di difendere la nostra libertà con tutti i mezzi».

Come fermare questi orrori?

«Ora non stiamo più parlano di attentati che colpiscono siti governativi o istituzionali, ora sgozzano e trucidano le persone perché non sanno il Corano. È una barbarie. Ma bisogna punire i capi, punirne uno per educarne cento, perché con queste persone è impossibile ragionare».

Ha mai provato a parlare con i suoi aguzzini?

«Non si può farli ragionare. Non esiste l'islam moderato qualsiasi musulmano è convinto che tutto il mondo sarà in pace quando tutto il mondo sarà musulmano. I miei rapitori mi dissero che avrebbero conquistato Roma. Ora, più che mai, questi vanno fermati».

Lei comincia il suo sfogo su Facebook ripercorrendo le immagini della guerra russoafghana. Dobbiamo pensare che le immagini così saranno sempre di più?

«Siamo in guerra.

Quando ero a Mosca per lavoro io lo vedevo quel Tulipano Nero, l'aereo che riportava a casa i giovani russi caduti in combattimento. Lo vedevo arrivare e c'era tutta quella folla di mamme e papà. A Ciampino è atterrato il nostro Tulipano Nero che ha riportato a casa i nostri fratelli trucidati dalla follia islamica».

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