Piano per la morte della regina: "Il London Bridge è caduto"

Il «Guardian» svela il dossier segreto sulle procedure per gestire i momenti dopo il decesso di Elisabetta II

Piano per la morte della regina: "Il London Bridge è caduto"

Saranno dieci giorni «di grande dolore e di grande spettacolo», alla fine. Nei dieci giorni che passeranno fra la morte della Regina Elisabetta II al suo funerale, tutto è stato calcolato nei dettagli, perché il risultato deve essere uno: il trionfo della Britishness di fronte agli occhi del mondo e del Regno, e il cuore della Britishness sono, appunto, le grandi cerimonie. Funerali e incoronazioni. La morte di Sua Maestà, quando arriverà, dopo il regno più lungo della storia inglese, sarà l'occasione per entrambi. Perché ogni volta che un re muore, viva un re. Dopo Elisabetta, Carlo. Ma, perché tutto avvenga alla perfezione, ci vuole un piano: e quello gli inglesi ce l'hanno pronto - pare - dagli anni Sessanta, l'hanno aggiornato ogni anno, più volte l'anno, e alla fine ieri il Guardian l'ha reso noto, almeno in una delle sue versioni, in un lungo articolo firmato da Sam Knight.

Come ogni piano prevede una parola d'ordine: London Bridge. Sarà Sir Christopher Geidt, segretario privato della Regina, a telefonare al Primo ministro per annunciare: «London Brige is down». Ecco, a quel punto, da un ufficio del Foreign Office saranno avvertiti i quindici governi al di fuori del Regno dei quali Elisabetta è ancora Capo di Stato, e poi le trentasei nazioni del Commonwealth. Di cui Elisabetta è capo, ma non è una carica ereditaria, quindi uno dei primi problemi da risolvere sarà: e Carlo? Rimarrà Capo del Commonwealth?

Carlo, dopo una attesa interminabile e quasi ridicola, sarà proclamato Re il giorno successivo alla morte della madre. In codice è detto D+1, perché i nove giorni successivi sono catalogati come D-day. La successione fa parte di London Bridge, è tutt'uno con il piano: come ha spiegato un membro della corte al Guardian, è l'«exit plan della Regina». Quindi: riaffermazione dell'ordine, ribalta della storia, patriottismo, cappelli di pelo, cavalli, rintocchi di campana, parate, la lunga marcia della bara lungo il Mall (forse con i corgi in processione), la camera ardente di quattro giorni a Westminster Hall, i rintocchi del Big Ben, alle 9 del mattino, il giorno del funerale (giorno D+9).

Subito dopo la proclamazione a St James's, Carlo partirà subito per incontrare i suoi sudditi in Scozia, in Irlanda del Nord e in Galles. Riceverà le condoglianze, incontrerà i rappresentanti delle istituzioni, della società civile e la gente comune. Farà il Re, per la prima volta. Poi tornerà, per i funerali. Quel giorno i gioielli della Corona saranno tirati a lucido, la Borsa di Londra resterà chiusa, come la maggior parte dei negozi. La bara arriverà davanti al portone di Westminster Abbey alle undici in punto.

Ci sono poi infiniti dettagli: dove alloggeranno le decine di membri delle famiglie reali d'Europa; il trasporto della bara se Sua Maestà dovesse morire all'estero, o a Sandringham, o nella amatissima Balmoral (in quel caso tornerebbe a Londra a bordo del Royal Train). Altri particolari saranno definiti da Carlo e dal Duca di Norfolk, la cui famiglia si occupa dei funerali reali dal 1672. Poi c'è l'aspetto politico: le potenziali forze disgregatrici nel momento in cui il Regno è minacciato dalla Brexit da un lato, e dalle aspirazioni nazionaliste dall'altro.

Il tabù di Camilla che diventerà Regina. Carlo, un Re poco popolare, e già avanti con gli anni. Però tutta questa Britishness in realtà potrebbe (e dovrebbe) unire: nel dolore, e nello spettacolo. È l'obiettivo di London Bridge, rimanere in piedi.

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