In un video, Assad ha definito la riconquista di Aleppo est, che era occupata dai ribelli da quattro anni, uno «spartiacque della Storia», paragonandola (in quest'ordine) alla nascita di Gesù Cristo, alla rivelazione del Corano, al collasso dell'Urss e alle due guerre mondiali. Dietro queste ridicole esagerazioni, c'è tuttavia una verità tanto inoppugnabile quanto sgradita a quell'Occidente che fino a pochi mesi fa puntava alla cacciata dell'uomo che, con estrema brutalità, ha massacrato centinaia di migliaia di suoi cittadini: grazie all'aiuto di russi, iraniani, milizie sciite afghane e irachene e Hezbollah libanesi, il dittatore ha vinto la guerra e rimane ben saldo in sella. Negoziare una pace con lui, dopo che ha dichiarato che intende «combattere fino all'eliminazione dell'ultimo terrorista», strappargli quell'amnistia indispensabile per porre fine all'insurrezione e il via libera per un ritorno graduale dei profughi, non sarà facile; e l'unico che abbia qualche probabilità di riuscirci è Putin, che con il suo intervento ha rovesciato le sorti della guerra ed è tornato a essere un protagonista della scena mediorientale, ma ora ha interesse a estricarsi da un conflitto assai oneroso. Le probabilità di arrivare almeno a una tregua armata dovrebbero aumentare quando alla Casa Bianca si sarà insediato Trump, che ha già fatto sapere, sia con i suoi interventi, sia con le sue nomine, che una delle sue priorità sarà di stabilire un rapporto di collaborazione con Mosca. Gli Usa, in Siria, non hanno più molto da perdere. Non sono riusciti a costituire una forza laica che lottasse efficacemente contro Assad e ormai hanno abbandonato al suo destino anche il poco che ne resta. Un loro intervento militare, salvo per quanto riguarda la lotta contro il Califfato, è fuori questione. L'unico vero dovere che hanno è di garantire la sicurezza dei curdi siriani, che sono tuttora i loro migliori alleati nella guerra contro l'Isis e occupano oggi il nord-est del Paese. Ma per ottenere questo dovranno combattere su due fronti: da un lato, strappare ad Assad la concessione di una regione autonoma, simile a quella di cui godono i curdi iracheni; dall'altro, fare inghiottire questo boccone a Erdogan, che considera i curdi siriani un'appendice del Pkk, l'organizzazione curda turca con cui è in corso una lotta senza quartiere, con continui attentati. Probabilmente, come Trump stesso ha accennato ieri, sarà necessario creare per loro una safety zone. Il piano è appena abbozzato e incontrerà infiniti ostacoli.
Tuttavia, ora che Assad è tornato in possesso delle cinque principali città (la riconquista di Palmira da parte dell'Isis è solo un incidente di percorso) e che gli insorti hanno perso sia consistenza, sia credibilità le probabilità di riportare la pace in quel campo di rovine che è diventata la Siria si sono fatte certamente più consistenti.
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