Un piccolo politico abile a restare in piedi

Sa bene che le probabilità di riottenere la quasi maggioranza assoluta che aveva in questa legislatura sono minime

Un piccolo politico abile a restare in piedi

In questi giorni nei media ci si interroga sul significato dell'ultima mossa di Alexis Tsipras. Noi «dietrologi» in servizio permanente ci lambicchiamo il cervello per scoprire la misteriosa strategia del capo di governo di un Paese piccolo piccolo che da troppo tempo ormai tiene l'Europa con il fiato sospeso: come può sperare di vincere dopo tutto quello che ha combinato e dopo essere stato abbandonato dall'ala sinistra del suo stesso partito? E soprattutto, dove conta di arrivare?

L'impressione di chi scrive è che Tsipras sia un politico sopravvalutato: il fatto che si trovi a gestire una situazione delicatissima a continuo contatto con i veri padroni d'Europa non fa di lui un gigante. Egli rimane quello che è, un tipico demagogo di estrema sinistra che le circostanze hanno costretto a evolversi di malavoglia in direzione di un relativo realismo. Un politico mediocre e di scarsa visione, abituato al piccolo cabotaggio ma dotato di ottima retorica avvocatesca che usa per trucchetti verbali ai limiti del ricatto.

Detto ciò, Tsipras è tutt'altro che stupido. Semmai è furbo, come molti suoi connazionali che si erano abituati a vivere al di sopra delle loro possibilità ritengono di essere. Sa bene che i greci lo scelgono come male minore. Anche se li ha in parte delusi riuscendo a contraddirsi completamente davanti ai potenti di Bruxelles e di Berlino, molti di loro continuano a preferirlo ai corrotti capibastone dei decenni precedenti (che peraltro si erano scelti nella perfetta consapevolezza di ciò che facevano), anche nella speranza che attui ricette meno severe di quelle imposte dai conservatori. Ma non è tutto: in questa fase di grande confusione Tsipras rappresenta anche un ancoraggio psicologico, un leader che ondeggia allo stesso ritmo della sua opinione pubblica ma che non dimentica mai di vellicarne l'orgoglio nazionale.

Tsipras gioca contemporaneamente due partite, una europea e una interna. La prima ha visto, come si notava prima, il premier barricadiero e tonitruante del referendum anti-creditori scendere a compromessi obbligati per non trovarsi con il sedere per terra. Per continuare a giocarla (e sostanzialmente a perderla facendo finta di vincerla) ha deciso di giocarsi questa scommessa elettorale.

Ma qui viene il punto più importante e il richiamo alla sua abilità principale, che è quella di rimanere a galla. Il rètore Tsipras recita magistralmente la parte del politico responsabile che chiede ai greci di dargli «un mandato forte per un governo stabile». Ma in realtà sa bene che le probabilità di riottenere la quasi maggioranza assoluta che aveva in questa legislatura sono minime: perderà voti a sinistra (verso il nuovo partito degli ultrà rossi fondato ieri da 25 suoi ex parlamentari) e al centro, dove probabilmente si rafforzerà «To Potami» del giornalista Theodorakis. Dovrà accontentarsi di una maggioranza relativa, se l'avrà. E poi gli toccherà scegliere. Se è furbo per davvero, vestirà i panni del responsabile salvatore della patria e si alleerà coi centristi per condividere con loro l'onere dell'impopolarità dei nuovi inchini verso Angela Merkel e dei tempi ancor più duri che verranno.

Se invece non resisterà al richiamo della foresta, si legherà mani e piedi ai paleocomunisti per una nuova stagione di populismo irresponsabile. Il vanesio professor Varoufakis (che ha evitato di seguire i transfughi) potrebbe fungere da trait d'union di questa operazione nostalgia.

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