Cristina Bassi
Milano «La mia è stata una motivazione di libertà e di diritto all'autodeterminazione individuale. Chiedo di essere assolto per il diritto che aveva Fabiano a ottenere quello che chiedeva e che hanno le persone che si trovano nelle stesse sue condizioni». Marco Cappato non rinuncia a rendere dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d'assise di Milano, nonostante da pochi minuti abbia ricevuto la notizia della morte della madre. Non ci sarà invece alla lettura della sentenza che lo assolve, dopo una breve camera di consiglio, «perché il fatto non sussiste». Il tesoriere dell'associazione Coscioni parla brevemente dopo il pm e i difensori, la voce all'inizio è incerta poi si fa sicura.
Il processo per aiuto al suicidio in cui Cappato è imputato per aver accompagnato a morire in una clinica svizzera Fabiano Antoniani è ripreso ieri dopo che la Corte costituzionale, in assenza di una legge sulla questione, ha stabilito i paletti entro i quali il reato descritto nell'articolo 580 del Codice penale non è punibile. Paletti che hanno appunto portato all'assoluzione di Cappato. Aveva chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste anche il pm Tiziana Siciliano: «Il compito del pubblico ministero è di rappresentare lo Stato - ha detto l'aggiunto nella requisitoria, affiancata dal pm Sara Arduini -, io mi rifiuto di essere l'avvocato dell'accusa». Dj Fabo, ha continuato, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, «è stato libero di scegliere di morire con dignità. Fabiano era un combattente, ci ha provato, ha capito che non c'era più nulla da fare, ha determinato che quella vita non la voleva, ha scelto l'unica strada per lui, quella più dignitosa. Era libero di scegliere? Sì, la libertà gli è stata lasciata. Così come aveva avuto tutta l'informazione per essere sottoposto a una sedazione profonda, sulle modalità, su quello che sarebbe stato lo svolgimento e le alternative possibili. Chiediamo l'assoluzione in maniera convinta ritenendo che la fattispecie incriminatrice non corrisponde agli elementi fattuali di cui siamo in possesso».
La difesa di Cappato, rappresentato da Francesco di Paola, Massimo Rossi e Filomena Gallo, ha ripercorso le sofferenze di Fabo, assistito dalla mamma e dalla compagna Valeria. Il fatto che gli antidolorifici non avessero effetto e che nel suo caso staccare i macchinari avrebbe significato un'agonia atroce e lunga anche dieci giorni. Poi in un passaggio ha chiesto che l'assoluzione arrivasse «perché il fatto non costituisce reato», che la Corte facesse «un passo in più», con «coraggio giuridico». Una formula che avrebbe dichiarato non solo che Cappato non ha commesso crimini. Ma che l'aiutare qualcuno che lo desideri a morire non è comunque un reato. Alla lettura del dispositivo da parte del presidente Ilio Mannucci Pacini è seguito l'applauso dell'aula affollata. «Fabiano mi avrebbe chiesto di festeggiare - ha detto Valeria Imbrogno -, perché questa è una battaglia in cui lui credeva fin dall'inizio. È una battaglia vinta per la libertà di tutti». Le motivazioni sono attese entro 45 giorni. «Dopo Fabiano - aveva detto Cappato prima di lasciare l'aula - alcune persone nelle stesse condizioni, poche decine, sono state accompagnate in Svizzera a morire nella piena informazione delle istituzioni e senza che fosse attivata l'azione penale».
Riguardo alla necessità della presenza di un trattamento di sostegno artificiale alla vita per ammettere l'aiuto al suicidio: «Lo considero una discriminazione irragionevole e incostituzionale tra chi è tenuto in vita artificialmente e chi non lo è ancora». Infine: «Non è la tecnica del tenere in vita a essere rilevante, ma la condizione di vita e di dignità di ciascuno».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.