Politica

Prescrizione, centristi nel caos E metà Ncd vuol mollare il Pd

Scontro sull'allungamento dei tempi dei processi Gli alfaniani spaccati, Schifani spinge per rompere

Laura Cesaretti

Roma Al suo ritorno dal G7 del Giappone, Matteo Renzi ritrova la sua maggioranza sottosopra. La miccia dello scontro è la riforma della prescrizione, all'esame della commissione giustizia del Senato. Ma la frattura sotterranea è di portata politica più ampia e attraversa l'alleato renziano Ncd, diviso tra chi - come i ministri Alfano e Lorenzin - è legato a doppio filo a Pd e governo e chi - come Schifani - sogna un riavvicinamento al centrodestra, e spinge sfilarsi dalla maggioranza, garantendo al premier solo l'appoggio esterno. Tanto che ieri, per mettere una toppa alla spaccatura interna, Angelino Alfano è intervenuto assicurando che chiederà «un bel tagliando» della coalizione di governo. Quando? «Dopo il referendum di ottobre: arrivati a quel bivio ci riuniremo e decideremo come proseguire», dice il titolare del Viminale.

Una divisione analoga, peraltro, attraversa anche Ala, come dimostra la polemica sul caso Saviano tra la componente cosentiniana guidata da D'Anna e lo stesso Denis Verdini. Il timore dell'avvicinarsi di elezioni politiche, insomma, manda in fibrillazione quelle componenti della maggioranza che non sanno come affrontare le urne, e temono la dissoluzione. E la conseguenza è che, soprattutto al Senato, attorno la navicella del governo possono scatenarsi fortunali ora imprevedibili.

Il casus belli, ieri, lo ha fornito l'ex pm Felice Casson, uscito dal gruppo Pd ma ugualmente nominato («improvvidamente», dicono in molti) relatore del delicato provvedimento sulla prescrizione. Giovedì sera, con un blitz di cui il Pd era all'oscuro, Casson ha presentato (aggiungendo alla propria anche la firma del senatore democrat Cucca) emendamenti che allungano a dismisura i tempi di prescrizione. Schifani ieri ha duramente denunciato l'accaduto, parlando di proposte «che vanno in direzione esattamente contraria agli accordi di maggioranza», e che smentiscono le mediazioni faticosamente raggiunte dal ministro della Giustizia Orlando. Il capogruppo Ncd ha chiesto il «ritiro immediato» degli emendamenti: «Se non avvenisse, si prospetterebbe inequivocabilmente l'ipotesi di una maggioranza trasversale che vedrebbe esclusa Area popolare». Il capogruppo Pd Zanda ha buttato subito acqua sul fuoco: quegli emendamenti sono solo «ipotesi di lavoro», e «il loro contenuto sarà oggetto di analisi e confronto nei prossimi giorni nel gruppo del Pd e con la maggioranza e in Commissione». Nel frattempo, il senatore Cucca faceva sapere di essere disponibile a togliere la sua firma. Casson però tiene duro, eccitato dalla prospettiva di diventare il paladino del fronte giustizialista, tra gli applausi di grillini e Sel, e vuol costringere il gruppo del Pd (che se lo risparmierebbe volentieri) a scomunicarlo ufficialmente. Un pasticcio, insomma. E nella maggioranza si fa strada l'ipotesi di rinviare tutta la discussione a dopo i ballottaggi, per evitare ripercussioni negative.

Manca una settimana al voto, e la guerriglia continua nel Pd e fuori non facilita una campagna elettorale già tutta in salita: a Milano si profila un testa a testa ravvicinato tra Sala e Parisi, a Torino si rischia il ballottaggio tra Fassino e la grillina Appendino. A Roma il candidato renziano Roberto Giachetti è riuscito a recuperare posizioni, risollevando le sorti di un Pd malmesso, ma la situazione è ancora molto fluida.

E il premier ha deciso di investire in prima persona sulla partita romana: il primo giugno farà una manifestazione elettorale con Giachetti.

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