Coronavirus

"La prevenzione potrebbe non bastarci"

Il virologo: "La curva dei contagi può risalire: controllarla non sarà facile"

"La prevenzione potrebbe non bastarci"

Eccolo il professor Crisanti, l'uomo dei tamponi. Esce dalla scuola elementare di Vo' Euganeo che sono le 13 del primo sabato di maggio. Guanti azzurri, mascherina, giacca, camicia; ci spiega perché è importante il modello Vo' Euganeo. Lui, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell'Università di Padova, è l'uomo che da sempre ha sostenuto tamponi per tutti. Soprattutto agli asintomatici. Il governatore del Veneto Luca Zaia, l'ha definito «il nostro faro».

Domani si entra nella Fase 2, cosa ci dobbiamo aspettare?

«Appena si allentano le misure la curva potrebbe tornare a salire, ma il problema è quanto riusciremo a controllarla con le misure di prevenzione e distanziamento sociale».

È un virus che colpisce determinate categorie, cosa fare?

«Non è vero che colpisce solo gli anziani, anzi questo virus colpisce soprattutto i giovani. La maggior parte delle persone che si infetta è giovane, perché la capacità di contagio dipende dal contatto sociale. Giovani in gran parte asintomatici che poi possono trasmettere il virus agli anziani».

Si è parlato spesso dei bambini, questi sviluppano il virus?

«I bambini sì, possono infettare. Ma sono particolarmente resistenti. Qui a Vo' per esempio nessuno dei 250 bambini ha sviluppato il virus, nessun bambino si è ammalato e vivevano in famiglie che erano ammalate».

Le donne, come mai si ammalano meno?

«Le donne tendono a guarire prima. Forse per le differenze dovute al doppio cromosoma x».

Esiste questa patente di immunità?

«No, non può esistere, si è parlato di passaporto immunologico, uno potrebbe invece portare - ma è un'ipotesi investigativa - un passaporto genetico».

Cioè?

«Partendo dallo studio su Vo' Euganeo dove abbiamo chiesto alla popolazione di donare il sangue. Vogliamo capire due cose: se esistono differenze genetiche tra persone che si sono ammalate in modo diverso all'interno della stessa famiglia. Perché se esistono e rendono una persona più suscettibile, allora nel momento in cui questa persona si infetta può essere inserita all'interno di un protocollo terapeutico».

Cosa si può capire da questo?

«Vogliamo capire se esistono persone geneticamente resistenti. Nell'infezione da Aids o nella malaria c'è un'intera parte dell'Africa resistente all'infezione di un particolare parassita. Questo sì che sarebbe veramente un marcatore di resistenza: potremmo così identificare all'interno della popolazione le persone che sono più o meno suscettibili».

Qual è l'altro aspetto che volete approfondire?

«Faccio un esempio: abbiamo persone che sono rimaste ammalate per otto settimane e non sono state in grado di eliminare il virus, persone che sono rimaste totalmente asintomatiche e hanno eliminato il virus dopo sette otto giorni, o persone che si sono ammalate e alcune sono state molto male, vogliamo capire se esistono delle differenze nella risposta immunitaria, cioè se gli anticorpi che hanno fatto sono neutralizzanti o no».

Come può essere d'aiuto?

«Fornirà un importante contributo per capire se la risposta immunitaria è fondamentale per eliminare l'infezione e dare supporto agli studi per lo sviluppo di un vaccino».

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