Le privatizzazioni-fregatura che fanno fuggire i capitali

I vertici voluti da Renzi in Cdp e nei gruppi pubblici hanno varato operazioni flop, scaricate sulle minoranze. I casi Saipem e Ansaldo

Le privatizzazioni-fregatura che fanno fuggire i capitali

Sul tavolo delle privatizzazioni il governo ha calato negli ultimi mesi un tris di assi che, secondo lo story telling renziano, rappresentano un forte catalizzatore di risorse per ridurre il debito aprendo la porta al mercato e agli investitori internazionali. Di certo ci guadagna lo Stato. Ma a rimetterci fin qui sono gli azionisti di minoranza, che siano i fondi stranieri o i piccoli risparmiatori. E non poco. Ci riferiamo a due operazioni in particolare: la cessione del 40% di Ansaldo Sts da parte di Finmeccanica, controllata dal Mef con il 32%, ai giapponesi di Hitachi; e l'aumento di capitale della Saipem preceduto dalla vendita del 12,5% del capitale da parte di Eni alla Cassa Depositi e Prestiti. A queste si potrebbero aggiungere gli effetti del caso Enel Green Power, scrigno delle centrali di energia rinnovabile, che dopo cinque anni di forte crescita torna nella pancia dell'Enel e dirà addio alla Borsa.Nel primo caso, l'Opa su Ansaldo Sts, i potenziali danni ai soci di minoranza son finiti nel mirino della Consob - che ha riconosciuto l'esistenza di una collusione tra Hitachi e Finmeccanica nella determinazione del prezzo di cessione della quota del colosso della difesa, e ne ha imposto il ralzo, 9,5 a 9,899 euro - e della Procura che ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di reato di aggiotaggio e ostacolo all'autorità di vigilanza. I fondi stranieri che hanno alzato il polverone non aderiranno all'Opa perchè convinti che Ansaldo valga molto di più, grazie alle sinergie che si possono estrarre dalla collaborazione con Hitachi. Le imputate negano le accuse e, nel caso dei giapponesi, ricorreranno con ogni probabilità al Tar. Intanto Finmeccanica venerdì ha perso in Borsa quasi il 6% e il titolo Ansaldo Sts si sta riallineando al nuovo prezzo fissato dalla Consob.Piangono anche le minoranze della Saipem, la società ingegneristica, braccio operativo dell'Eni, che costruisce infrastrutturre petrolifere: da titolo per cassettisti, investitori oculati e fondi pensione, si è trasformata nell'ultimo anno in una specie di derivato. Fino a due anni fa Saipem capitalizzava intorno ai 2 miliardi. Prima dell'avvio dell'aumento di capitale da 3,5 miliardi lanciato il 25 gennaio, le Saipem, si erano ridotte in Borsa a 1,85 miliardi di capitalizzazione, circa la metà dei quali nelle mani del mercato. Ebbene, alla chiusura della negoziazione dei diritti di opzione di venerdì, il valore si è ridotto a 331 milioni di euro. In due settimane è sfumato l'82%. Il conto è particolarmente salato per Fsi, il fondo Cdp che ha rilevato dall'Eni il 12,5% del capitale, pagando 463 milioni per una quota che oggi ne vale 41. Mentre l'agenzia S&P ha messo sotto osservazione con implicazioni negative il rating.

Ora restano ancora 4 giorni per sottoscrivere l'aumento e comunque l'esito è assicurato dal consorzio di garanzia. Ma quanto ci metterà Cdp a recuperare i suoi (e dunque nostri) soldi? Mentre, come noto, quei 3,5 miliardi raccolti da Saipem non serviranno alla società, ma finiranno nella pancia dell'Eni, che da un lato aveva crediti da Saipem, dall'altro potrà deconsolidare anche il resto dei debiti. Un'operazione in ogni caso finanziata (in perdita) da due soggetti terzi: la Cdp e il mercato. Se il buon giorno si vede dal mattino, non c'è da stare sereni per gli effetti dell'operazione Enel Green Power la cui avventura come società autonoma quotata si concluderà entro fine marzo. Senza passare per il mercato. In sostanza, le attività italiane rimarranno in capo a Egp Spa che però sarà interamente controllata da Enel e verrà quindi delistata. Le partecipazioni estere, in capo a Egp International, verranno assegnate a Enel. Gli attuali azionisti di Egp riceveranno azioni Enel di nuova emissione, con un rapporto di cambio di 0,486 azioni Enel per ciascuna Egp ed Enel comprerà tutto l'invenduto a 1,78 euro per azione per un massimo di 300 milioni, anche se la controllante si è riservata la facoltà di superare questo limite. A cose fatte il Tesoro dovrebbe scendere dall'attuale 25,5 al 23,5% del capitale dell'Enel. Tuttavia, l'assegno che incasserà via XX Settembre non subirà conseguenze, perché il numero delle azioni possedute dallo Stato rimarrà invariato, dal momento che l'operazione prevede l'emissione di azioni nuove a beneficio degli azionisti di Egp, che diventano azionisti Enel. Tutti vissero felici e contenti, quindi? Si vedrà. Ma che il governo abbia pensato in questo caso di fare un regalo al mercato è difficile, visti i precedenti. Di certo per chi ha comprato Egp, quando fu quotata alla fine del 2010, il bilancio di cinque anni di Borsa, al lordo delle cedole, è senza infamia e senza lode. Ma forse, costui, convinto dalle energie green, non sarà così felice di diventare azionista anche delle obsolete centrali termo. E quanto al delisting, secondo gli analisti il premio per le minoranze non è corposo e non sembra favorevole al mercato.

Di fronte al tris di assi di un colore solo, resta da chiedersi come si può pretendere che una tale gestione delle partecipazioni quotate pubbliche possa rendere il nostro mercato molto attraente. E infatti la Borsa è lì a dimostrarci che non lo è.

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