"La Procura non ha indagato sulle estorsioni a Berlusconi"

La Procura di Milano non ha indagato sullo scenario che emergeva dalle indagini sul caso Ruby, e che la avrebbe costretta a ribaltare la propria linea d'accusa

"La Procura non ha indagato sulle estorsioni a Berlusconi"

La Procura di Milano non ha indagato sullo scenario che emergeva dalle indagini sul caso Ruby, e che la avrebbe costretta a ribaltare la propria linea d'accusa: quella per cui le continue richieste di denaro da parte di alcune ragazze, ospiti delle feste nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore, non erano il frutto di un pactum sceleris, di un accordo corruttivo, ma di un tentativo di estorsione in piena regola ai danni del Cavaliere. Questo è lo scenario alternativo che ieri uno dei difensori del leader azzurro, Federico Cecconi, disegna nella sua arringa davanti ai giudici del processo Ruby ter, dove per Berlusconi - imputato di corruzione in atti giudiziari - la Procura ha chiesto la condanna a sei anni.

Siamo alle battute conclusive, per gennaio è prevista la sentenza. E nel corso di un processo durato più di quattro anni (!) secondo Cecconi sono emersi solo «elementi di portata indiziaria, del tutto inidonei a ritenere provata la responsabilità di Silvio Berlusconi in ordine alle accuse». Per chiedere la condanna del Cav, dice il difensore, la Procura si è dovuta affidare a dichiarazioni segnate da «incertezza, irragionevolezza, incongruenza» come i racconti della povera Imane Fadil, una delle ragazze, morta durante le indagini. I pagamenti alle giovani, ricorda Cecconi, avvenivano alla luce del sole, per sostenere giovani donne che avevano subito danni «economici e reputazionali» dal coinvolgimento nell'inchiesta. E c'è dell'altro, una spiegazione che il legale avanza ieri: i soldi erano anche il frutto di un accordo «del tutto lecito» per la riservatezza mediatica, per l'impegno a non rilasciare interviste sulla vicenda. È in questo accordo che si inseriscono «soggetti profittatori che hanno cercato di fare business» alzando la posta. Ma tutto questo passa in secondo piano davanti al macigno che per Cecconi non può portare che all'assoluzione dell'ex capo del governo. Tutte le testimonianze (false, secondo i pm) oggetto dell'inchiesta, dice, sono nulle, come se non fossero mai esistite, perchè gli interrogatori vennero compiuti senza alcuna garanzia, come se si trattasse di testimoni: invece le ragazze erano di fatto già sotto inchiesta, senza che fossero state iscritte nel registro degli indagati.

A dirlo non sono io, dice il legale del Cavaliere, ma lo stesso tribunale che dovrà pronunciare la sentenza, e che con una ordinanza dell'aprile scorso ha dichiarato inutilizzabili quei verbali. Se cade l'accusa di falsa testimonianza, conclude Cecconi, cade l'intero processo: «La Procura lo sa, ed è disperata».

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