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Proteste pro-democrazia. In Thailandia scatta lo stato di emergenza

Il governo spera di stroncare il movimento Venti arresti, tra cui i leader della rivolta

Proteste pro-democrazia. In Thailandia scatta lo stato di emergenza

Bangkok. Alle quattro di mattina di ieri, in diretta tv, dopo che migliaia di manifestanti si erano accampati dal giorno precedente nelle vicinanze delle sede dell'esecutivo per protestare contro il governo del generale Prayut Chan-ocha e contro la monarchia del Re Maha Vajiralongkorn, è stato dichiarato lo stato di emergenza. Pochi minuti dopo, la polizia in assetto antisommossa, ha fatto sgomberare tutti i dimostranti.

Le proteste nel Paese asiatico sono iniziate lo scorso giugno, dopo la scomparsa in Cambogia di Wanchalearm Satsaksit, un attivista thailandese in esilio su cui ancora non si hanno informazioni ufficiali. Inizialmente il movimento che ha animato le manifestazioni ed è nato ispirandosi alle proteste di Hong Kong, era per lo più formato da giovani senza dei veri e propri leader.

Con il passare dei mesi, le dimostrazioni sono state supportate anche delle «camicie rosse», gli ex seguaci di Thaksin Shinawatra e veterani degli scontri con le «camicie gialle» filo governative, che nel 2010 hanno messo a ferro e fuoco la capitale del «Paese dei Sorrisi».

La prima manifestazione significativa, dove hanno partecipato circa centomila persone, è avvenuta lo scorso 19 settembre. Questa data non è stata scelta a caso. Il 19 settembre del 2006 era proprio l'anniversario del colpo di Stato contro l'allora primo ministro Shinawatra, che fu deposto dalla carica dopo cinque anni di servizio.

Dopo quell'occasione, i manifestanti si sono dati appuntamento al 14 ottobre, proprio nella ricorrenza della rivolta studentesca del 1973, annunciando che la protesta sarebbe stata sempre più accesa. E così è stato. Due giorni fa, dopo aver marciato e aver raggiunto la Governament House, avevano deciso di rimanere in strada finché non venissero accettate le loro richieste.

E anche se la polizia è riuscita a sgomberare i manifestanti, la protesta si è solamente spostata. Da ieri pomeriggio, infatti, nonostante lo stato di emergenza, che prevede il divieto di riunione per più di quattro persone e la pubblicazione di notizie che «potrebbero creare paura» o «influenzare la sicurezza nazionale», hanno occupato in decine di migliaia l'incrocio di Ratchaprasong, uno dei quartieri finanziari della capitale, dove stanno provando a resistere malgrado le pressioni delle autorità.

Intanto però, in questi due giorni, ci sono stati una ventina di arresti, quasi tutti i leader della protesta. Tra loro ci sono Anon Nampa, avvocato che si occupa della difesa dei diritti umani e che è stata la prima persona a parlare pubblicamente della necessità di riformare la monarchia, Parit Chiwarak, studente molto noto per il suo attivismo politico e Panusaya Sithijirawattanakul, la ragazza che il 19 settembre scorso aveva consegnato alle autorità una lettera dove si chiedeva di ridurre i poteri del Re e il suo controllo sull'enorme fortuna del Palazzo. Una fortuna che, secondo le stime, si aggira tra i 30 e i 60 miliardi di dollari.

La protesta contro la monarchia è piuttosto inusuale in un Paese dove il regnante è un'istituzione, considerato come una specie di divinità, al di sopra di tutto e tutti e dove, per chi lo critica, in base a una legge per il reato di lesa maestà, è prevista una condanna fino a quindici anni di reclusione.

Secondo molti analisti la situazione potrebbe scaldarsi velocemente.

Soprattutto se i manifestanti decideranno di continuare a rimanere in strada, sfidando di fatto l'ennesimo stato di emergenza che nella storia recente del Paese è stato dichiarato decine di volte.

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