Rivolta nella sinistra Usa: il fronte anti-woke sfida i liberal del partito democratico

Cresce nei democratici Usa un fronte anti-woke che punta a riportare il partito verso il centro, sfidando l’ortodossia liberal e cercando di riconquistare moderati e indipendenti

Rivolta nella sinistra Usa: il fronte anti-woke sfida i liberal del partito democratico

Da qualche mese sta succedendo qualcosa nel mondo della sinistra americana. Il partito democratico, uscito malconcio dalle elezioni del 2024, con tripla sconfitta elettorale e la perdita in un colpo di Casa Bianca, Camera dei Rappresentanti e Senato, non riesce a trovare una nuova identità e si trova in uno stato di crisi che sembra senza fine.

Qualcuno, l'ala più radicale del partito, ha detto che Kamala Harris non è stata abbastanza di sinistra, qualcun altro semplicemente pensa che il problema sia stato solo il poco carisma della candidata dem. C'è però una fronda sempre più consistente di politici democratici che inizia a nutrire dei dubbi sulle derive liberal del partito e che vuole riportarlo al centro, o meglio evitare che si autoescluda parlando solo a una piccola parte del Paese. Una fronda predente anche nell'elettorato, tra chi bolla il partito come "troppo woke", o chi vorrebbe vederlo più centrista, come dimostra un sondaggio realizzato da Gallup all'inizio dell'anno secondo cui il 45% degli intervistati democratici voleva un partito più moderato.

Caccia ai podcaster di destra

Un passaggio di questo ritorno al centro passa dal confronto con il mondo dei podcaster. L'elezione di Donald Trump ha confermato che non si può pensare di condurre una campagna elettorale escludendo un media così importante soprattutto per le giovani generazioni. In particolare il mondo dei podcaster conservatori da Joe Rogan in giù, ha dimostrato di avere un bacino di elettori e utenti che fa gola.

Gavin Newsom, governatore della California che sogna la nomination democratica per le presidenziali del 2028, qualche settimana fa ha lasciato il Golden State per volare in Tennessee dove è stato ospitato nel podcast di Shawn Ryan, un tatuato ex Navy SEAL conservatore, e la chiacchierata di Newsom di quasi due ore è stata vista da oltre un milione di utenti. Ma il governatore già da tempo gioca a fare il podcaster con un suo progetto personale che ha creato diversi grattacapi ai puristi liberal. Davanti al suo microfono sono passate diverse figure conservatrici e pro Trump, come l'ex speaker della Camera Newt Gingrich, l'ex direttore delle comunicazioni della prima amministrazione Trump Anthony Scaramucci e soprattutto l'ex stratega del tyccon, Steve Bannon.

Josh Shapiro, governatore della Pennsylvania che fino all'ultimo sembrava destinato a fare da vice ad Harris, ha preso parte a una puntata del podcast di Ted Nugent, un attivista pro-Trump e musicista durante la quale hanno parlato di rendere libera la caccia proprio nel Keystone State. La lista è lunghissima. Persino l'ex sindaco di Chicago, Rahm Emanuel è andato ospite di un programma realizzato da un ex conduttore di Fox News.

“Sei un democratico, ma sai cosa, governatore Josh, tu sei mio fratello di sangue, ti rigrazio per questo”. Il rocker ultra trumpiano Ted Nugent ringrazia il Shapiro per il sostegno a una proposta di legge che permetta la caccia la domenica

La speranza di riprendere moderati e indipendenti

Sempre più politici di sinistra, quasi tutti uomini, stanno guardando con interesse a un nuovo modo di approcciarsi agli elettori, ma non solo sul piano tecnico, cioè andando ospiti di podcaster invece che di programmi tv o giornali, ma anche sul piano più squisitamente politico. L'idea di molti di loro è quella di rigettare una certa ortodossia liberal per andare a parlare con elettori indipendenti e cittadini (maschi) che hanno votato Trump perché si sono sentiti respinti da un partito che li ha esclusi. L'idea è quella di uscire dalla bolla liberal esplorando altri luoghi mediatici. Un aspetto che è emerso anche durante la campagna elettorale. Più di qualcuno aveva criticato Harris per essersi sottratta a un'ospitata da Joe Rogan per non scontentare le frange più a sinistra del suo staff.

Questa fronda moderata fa parte di quella che contestava alcune scelte della campagna elettorale di Kamala Harris. Secondo loro la sconfitta dem del 2024 è da ricercare nella scelta di non affrontare certi argomenti rifiutandosi di ascoltare le preoccupazioni della maggioranza degli elettori. Un'autocritica che avrebbe costretto Harris a mettere in discussione alcune posizioni ortodosse in materia di immigrazione, atleti trans, o gestione delle chiusure pandemiche. Tutte posizioni che hanno permesso a Trump e repubblicani di dipingere lei e il partito come una candidata fuori dal mondo. Celebre, in questo senso, lo spot di Trump: "Kamala is for they/them, Trump is for you".

La strategia di staccarsi dal partito

In una situazione in cui il brand del partito è ai minimi storici, molti aspiranti deputati, senatori e pure chi accarezza l'idea di candidarsi alla presidenza, ha deciso di puntare la sua strategia sul mostrarsi indipendente rispetto ai canoni liberal. È il caso di due papabili per il 2028. Il senatore dell'Arizona, Ruben Gallego, a gennaio è stato co-firmatario di una legge odiata dai progressisti che permette agli agenti federali di trattenere i migranti accusati di furti o taccheggi.

Wes Moore, democratico alla guida del Maryland e unico governatore afroamericano del Paese, ha scontentato moltissimi attivisti per i diritti civili ponendo il veto su una legge dello Stato che prevedeva i risarcimenti per la schiavitù, un tipo di provvedimento che da anni le frange più radicali della sinistra portano avanti nel malumore generale degli elettori.

Pete Buttigieg, ex segretario dei trasporti e tra i più lanciati verso la nomination democratica per il 2028, pur criticando la decisione dell'amministrazione Trump di smantellare il dipartimento dell'Istruzione e la ristrutturazione di altre agenzie, ha criticato le barricate di certi colleghi, sostenendo che troppo spesso il partito si aggrappa allo status quo.

Ruben Gallego, Wes Moore, Pete Buttigieg
Da sx verso dx: Ruben Gallego, Wes Moore, Pete Buttigieg

Liberal in allarme

Ovviamente pensare al 2028 è prematuro, ma molti sono convinti che gli indici di gradimento sottozero di Trump non possano bastare a dormire sonni tranquilli in vista delle elezioni di metà mandato del 2026. E che quindi si debba correggere la traiettoria del partito. Queste uscite hanno già messo in allarme i più radicali. I progressisti si dicono convinti che questa convergenza al centro, così come le incursioni in territorio conservatore, siano sbagliate e che avvallare opinioni bigotte invece di combatterle possa avere brutti effetti sul piano elettorale dato che secondo loro farebbe percepire i dem come una sorta di repubblicani diluiti.

Come ha notato il Washington Post, la convergenza moderata se non controllata, rischia di produrre effetti grotteschi dato che gli elettori potrebbero percepirli come semplici opportunisti. Ma non è sempre così. Buttigieg, ad esempio, durante il suo mandato da segretario ai Trasporti è diventato famoso per essere ospite quasi sempre fisso da Fox News e in tempi non sospetti ha sempre dialogato con commentatori conservatori. Stesso discorso per Gallego. Il senatore di origine colombiana ha vinto in Arizona con un buon margine sull'inseguitrice Kari Lake e questo nonostante Trump abbia vinto lo Stato per diversi punti percentuali. Moltissimi latinos, che sempre di più votano a destra, hanno sempre apprezzato Gallego per essere uno di loro, per averci cercati sul luogo di lavoro, celebri anche le sue apparizioni ai rodei, eventi non proprio di sinistra.

Questa virata verso il centro crea diversi mal di pancia anche perché molti progressisti la mettono a confronto con quello che succede nel campo avverso. La fronda anti-woke viene guardata con astio e sospetto anche perché i liberal si chiedono come mai pezzi del partito rigettino le posizioni più progressiste mentre i repubblicani non fanno lo stesso contro le pressioni della base Maga del partito, e che anzi pezzi importanti delle élite repubblicane accolgano con un certo entusiasmo posizioni controverse.

Il rischio di scontentare tutti

Solo il tempo potrà dire se la strategia è vincente. John Brabender è uno storico stratega elettorale del mondo conservatore ed è stato anche uno degli assistenti di Trump. Parlando col Post ha detto che sembra che un pezzo del partito abbia imparato la lezione: "Si rendono conto che una parte considerevole del Partito non è così progressista come si pensava in precedenza", ma soprattutto che ci sono pezzi di Paese centristi che hanno votato Trump, come in Pennsylvania o nel Midwest, che vanno recuperati e riportati nella casa democratica.

Per Brabender c'è però un problema.

Virare al centro e lanciare messaggi rassicuranti all'America moderata può alienare le frange più radicali del partito e degli elettori con il rischio di non vincere né il voto moderato né quello più a sinistra: "Quando si cerca di possedere tutto", ha detto lo stratega, "non si possiede nulla".

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