"Provarono a fermarci col furto in redazione. Ma salvai tutte le carte"

L'ex capo della redazione romana Andrea Pucci rievoca: "D'Antoni pedinato fino alla sua casa ai Parioli"

"Provarono a fermarci col furto in redazione. Ma salvai tutte le carte"

"Si scrive privacy, si legge provaci". Il copyright è del re dei paparazzi, Rino Barillari, ma Andrea Pucci lo ha riciclato ai tempi di Affittopoli. "Lo slogan perfetto per il lavoro che facevamo, scardinare l'omertà di chi non voleva che saltassero fuori i nomi degli inquilini eccellenti, tra clima agostano e l'ombrello della privacy dei privilegiati". Ma il muro di gomma non resse a lungo, ricorda Pucci, 30 anni fa capo della redazione romana del Giornale, oggi direttore di NewsMediaset: Tg4, Studio Aperto e TgCom24. "Abbiamo insistito, ci abbiamo provato, e ci siamo riusciti. Martellando. Battezzando - io, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro - un genere giornalistico: il tormentone. Che poi, dalle pensioni d'oro alla legge Mosca fino ai finanziamenti statali al cinema, abbiamo riproposto negli anni".

Restando ad Affittopoli, più di trenta prime pagine consecutive

"Sedici agosto, caldo, zero notizie. Meno male che Belpietro aveva, come me, la sana abitudine di metter via, durante l'anno, storie che tornino utili nei periodi di magra. Quella volta, uno studio sul patrimonio immobiliare dell'Inps: miliardi di valore e un rendimento ridicolo, uno virgola qualcosa, da palazzi quasi sempre nei centri storici. Poi alzammo il tiro, cercando di stanare gli inquilini eccellenti. Senza elenchi o talpe, e con mezza redazione in ferie. Scelsi i gatti randagi, che avevano più fame. Oltre a Francesco Casaccia, che aveva seguito la parte economica dell'inchiesta, Gian Marco Chiocci, in sostituzione estiva, e due stagisti: Michele Lella e Maurizio Sgroi. Dissi: Avete letto? Da oggi cerchiamo chi abita in queste case. Uno di loro, che aveva le scarpe nuove, mi chiede: Ma come facciamo?. Gli indico i piedi: Consumandole. Elenchi non ne abbiamo. Bussate, citofonate, chiedete ai portieri, agli inquilini. Qualcosa uscirà fuori. Ma io sapevo dove mandarli per iniziare".

Avevi qualche indizio?

"Ero cresciuto in una casa dell'Inps, in via Andrea Sacchi, e a cento metri da lì abitava la figlia di un noto sindacalista Cgil. Fu il primo inquilino eccellente di Affittopoli. Poi, da capo della redazione romana, cuore politico del Giornale, sapevo dove abitavano i leader dei vari partiti. Achille Occhetto aveva casa dietro piazza Augusto Imperatore, tutti palazzi Inps: beccato. E pochi mesi prima abitavo a Trastevere, dove avevo intercettato la scorta di D'Alema sotto il palazzo di un ente. Ci mandai Chiocci, e con uno stratagemma che mi costò 50mila lire tirate fuori di tasca mia, tornò con la conferma dell'importo della pigione di D'Alema".

Quale stratagemma?

"Segreti del mestiere. Scrivemmo che pagava 800mila lire di affitto. Conoscendo l'uomo - orgoglioso, altezzoso - immaginavamo che avrebbe negato. Infatti disse che era falso, che pagava di più. Bingo. Il giorno dopo titoliamo Ha ragione D'Alema, ci siamo sbagliati, non paga 800mila ma 633mil e sbattiamo in prima pagina il bollettino del canone. E lui, da Costanzo, annuncia di voler traslocare. Chapeau. Anche se fu sprezzante con noi, e parlò di squadrismo a proposito dell'inchiesta".

Squadrismo, macchina del fango. Una canzone già sentita.

"Già. Ma fu un'inchiesta impeccabile. Dall'inizio c'era chi scarpinava, chi verificava, chi chiamava i vip per chiedere un commento, sempre registrando tutto, e programmando via via come procedere, evitando fughe di notizie e senza guardare in faccia a nessuno. Poi il classico sassolino diventa valanga e tutti finirono per lavorarci. Al Giornale e pure negli altri quotidiani. Le vendite schizzarono, ma non me lo dissero Feltri o Belpietro. Lo capii dalle migliaia di segnalazioni dei lettori. Grazie a un dirimpettaio e alla sua minuziosa descrizione scoprimmo l'appartamento con Jacuzzi di D'Antoni ai Parioli. Lui ci evitava per non dover confermare, ma un altro lettore lo avvistò sulla Pontina e ci avvisò. Mandai Chiocci ad appostarsi in scooter all'obelisco dell'Eur, D'Antoni capì di essere pedinato e cominciò a zigzagare per la Colombo, ma riuscimmo a seguirlo fino a casa sua, a Parioli".

Altri strani episodi?

"Inizio settembre, vado in vacanza sul litorale laziale. Appena entro in casa con moglie e bimbi mi chiama Antonio Belotti, caporedattore centrale. Torna. Feltri dice che senza di te Affittopoli muore. Sospiro, saluto la famiglia, rientro a Roma. E scopro che, quella notte, qualcuno in redazione aveva rubato dalla cassaforte della mia stanza tutte le carte di Affittopoli. Di fronte a un'inchiesta che aveva messo alla berlina tutta la nomenclatura italiana, lascio immaginare chi potesse aver interesse a difendere il potere. Ma tanto avevo una copia di tutto".

Che cosa resta di quell'esperienza 30 anni dopo?

"L'intuito di Feltri di martellare, di cavalcarla, la formidabile capacità di Belpietro di inventarsi l'inchiesta. Per me, rivendico il merito di aver scelto le persone giuste in quella redazione semideserta: cronisti inesperti ma affamati, bravi, meticolosi. Il Washington Post la definì un'inchiesta da manuale. E a differenza del Watergate, senza una talpa.

Ma la mia più grande soddisfazione è che grazie a quell'inchiesta Paolo Berlusconi e Vittorio Feltri decisero di aprire la cronaca di Roma. Quei tre ragazzi che avevano dato il sangue tutta l'estate vennero assunti, insieme ad altri, bravissimi giovani giornalisti".

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