"Quale figlia vuoi salvare?". Il bivio che Ibrahima rifiuta

"Quale figlia vuoi salvare?". Il bivio che Ibrahima rifiuta

Quel giorno di sette anni fa, è stato come aver chiuso gli scurini in faccia al cielo. È stato il giorno in cui Ibrahima Ndiaye ha visto il domani che si dimenticava di lui. I medici gli hanno chiesto una risposta. Ma la risposta era una frase che non poteva sentirsi dire. «Salvate mia figlia Ndeye e lasciate morire mia figlia Marieme». Da che parte dovrebbe stare un padre? Non si può averne una. Avrebbe dovuto scegliere Ibrahima, se sottoporre le sue figlie, due gemelline siamesi che oggi hanno otto anni, a un complesso intervento chirurgico per riuscire a separarle. Ma con l'intervento, la morte di una sarebbe stata certa: sarebbe stata Marieme a soccombere. La più vivace ma la più debole. Con la gemella condivide il fegato, l'apparato digerente, l'intestino. Ma il suo cuore fatica più di quello di Ndeye.

Da quando sono venute al mondo sembrano sincronizzate. I loro corpi crescono per suggerimenti reciproci. Sono due in un corpo solo. Ma sono due. E Ibrahima lo sa bene e l'ha saputo ancora meglio quando si è trattato di scegliere. E lui ha scelto di non scegliere. Non ucciderà una delle sue bambine per far vivere l'altra. Non sceglierà solo una delle due gemelle. Ma ha deciso invece che Ndeye e Marieme saranno la sua ragione di vita finché avranno vita. E anche oltre. Ibrahima è senegalese, nel suo Paese lavorava come manager ma ha abbandonato tutto per portare le bambine in Inghilterra e farle curare. In Senegal ha altri quattro figli che sono rimasti con la madre. Ibrahima è un musulmano sufi, ha una decisione impossibile da prendere e due occhi gialli liquidi, da tigre che non vuole mangiare nessuno. Resta in Inghilterra e aspetta, spera il più a lungo possibile, anche se i giorni di Ndeye e Marieme arrugginiscono in fretta, più in fretta di quelli degli altri. E prima o poi qualcosa cederà, smetterà di funzionare e inizierà la fine, perché a quel punto sarà impossibile salvarne anche una sola. E c'è da ammirarlo per questa sua capacità di vivere nel frattempo. Con la paura in gola e i nervi che scivolano sulla carta vetrata.

Di solito le cose che è impossibile spiegare hanno il tatto di rimanere sconosciute. Ma stavolta non hanno avuto tatto: le cose hanno nomi e date e diagnosi e scelte che non si possono fare. Come si fa a scegliere di sacrificare una figlia per far sopravvivere l'altra? E come si fa a scegliere di condannare anche quella che potrebbe salvarsi? Neppure il comitato etico dell'ospedale inglese in cui sono state fatte le diagnosi è intervenuto nella decisione del padre di togliere il futuro a entrambe. Nessun magistrato in mezzo a questa tragedia dal retrogusto epico.

«Il fuoco e il ghiaccio», come il padre ha soprannominato le piccine, se la

vedranno da sole. Il fuoco scioglierà il ghiaccio o il ghiaccio spegnerà il fuoco. Solo loro due: come nella pancia della madre, come nei loro primi otto anni di vita e come in tutti gli altri che la vita vorrà concedere loro.

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