"Ma quali matti e depressi, gli islamisti sono islamisti"

Lo scrittore algerino di 2084: "È un grosso errore presentarli così: distogliamo lo sguardo dalla verità"

"Ma quali matti e depressi, gli islamisti sono islamisti"

Che cosa significa usare una parola oppure un'altra, per definire le cose? E che cosa significa, ancora di più, avere il potere di controllare il modo in cui le cose vengono nominate? Lo spiega molto bene Boualem Sansal, scrittore algerino che nel suo Paese ha perso il lavoro (al ministero dell'Industria) e ha problemi continui per le sue posizioni politiche e per la sua condanna del fondamentalismo islamico. Per esempio, anche sua moglie non può più insegnare. Ma lui, negli altri Paesi e nei suoi libri, dice quello che pensa. Scrive quello che vede arrivare. Come in 2084. La fine del mondo (Neri Pozza), romanzo su un Grande fratello islamico che, un secolo dopo quello orwelliano, è diventato realtà: l'Abistan, teocrazia oscurantista e violenta nel nome di Abi, il Delegato del dio Yölah, dove regnano la miseria e il terrore e a governare è la legge inflessibile del Gkabul, che prevede controllo sistematico e capillare, caccia al nemico, torture, lapidazioni, guerre, manipolazione della mente. La forma di manipolazione fondamentale è l'abiling, «una lingua inventata in laboratorio che aveva il potere di annichilire in chi la parlava la volontà e la curiosità», come spiega Sansal nei capitoli finali del romanzo. L'Apparato, scrive, ha cancellato ogni traccia di quella precedente, «una lingua bellissima, ricca, suggestiva... Poiché tendeva alla poesia e alla retorica è stata eliminata dall'Abistan, le si è preferita l'abiling, costringe al dovere e alla stretta obbedienza».

Boualem Sansal, in questi giorni, quando si parla degli autori degli attentati, i media e le autorità li descrivono di solito come «depressi» o «mentalmente squilibrati» o «disturbati», anziché parlare chiaramente di terroristi islamici.

«È un grosso errore presentarli in questo modo. Queste persone si sono per la maggior parte volontariamente e coscientemente impegnate nella jihad che Daesh, al Qaida e altre organizzazioni jihadiste hanno scatenato contro il mondo e l'Europa in particolare. È ancora più ridicolo visto che dopo ogni attentato le inchieste di polizia mostrino che i terroristi avevano freddamente pianificato i loro atti e che avevano beneficiato di complicità diverse».

Perché è un errore?

«La cosa più grave è che, trattandoli come malati o delinquenti, distogliamo lo sguardo dalla realtà che è l'islamismo, punta di lancia della guerra fatta al mondo da numerosi stati musulmani come Arabia, Qatar, Iran e numerose organizzazioni islamiche come i Fratelli musulmani... In generale, né l'occidente né il mondo arabo hanno colto la reale misura del pericolo che l'islamismo rappresenta per il mondo. Finirà per distruggerlo e non ci vorrà molto tempo».

Non c'è via d'uscita?

«È solo attraverso l'islam che possiamo batterlo. Per questo l'islam deve riformarsi e secolarizzarsi onestamente, così l'islamismo non avrà più questa base ideologica e teologica per giustificare la propria lotta. Andrà in rovina rapidamente».

È paura, è il voler essere politicamente corretti o è una mistificazione? E perché?

«Tutte queste ragioni possono essere invocate, ma la vera ragione è che è impossibile per una democrazia fare la guerra al terrorismo sul proprio terreno. Questa guerra, che è allo stesso tempo guerra civile perché coinvolge dei connazionali e guerra esterna perché telecomandata dallo straniero, non può che essere fatta dentro il quadro di leggi speciali che autorizzano metodi illegali quali tortura, arresti preventivi, espulsioni di massa, centri di detenzione segreti come Guantanamo, e accettano un grande numero di morti su cui le inchieste sono ridotte a poca cosa. Ora, a parte il governo di George W. Bush che l'ha fatto senza porsi problemi, nessun governo democratico al mondo oserebbe chiedere il voto su tali leggi e nessuna rappresentanza nazionale le voterebbe».

Che cosa si può fare?

«A parte rinforzare i dispositivi di sicurezza e recitare la pedagogia del politicamente corretto e del vivere insieme per impedire che la popolazione affondi nel panico e nella violenza, il governo di una democrazia non può fare grandi cose se non, come ha fatto Bush spostando la guerra in Irak, tentare di spostare la guerra su un altro territorio, dove può agire liberamente e dove i jihadisti del mondo intero accorreranno per salvare i loro compagni».

E l'Europa?

«Non abbiamo ancora inventato il metodo per fare la guerra al terrorismo massivo in un quadro democratico. E questo è totalmente escluso in Europa, dove per lo più le popolazioni sono state gravemente indebolite da un eccesso di protezione fornita dallo Stato e una cultura di pacifismo compiaciuto che non corrisponde ad alcuna realtà».

Sulla scia di quanto accade in Orwell e nel suo 2084, pensa che questo uso delle parole sia un modo di restringere il linguaggio e, così, di nascondere la verità e ridurre la varietà di opinioni, in modo tale che le persone non riescano a capire davvero che cosa stia succedendo?

«Tutto è contenuto nel linguaggio, la nostra comprensione del mondo, le nostre emozioni, i nostri sogni. Chi controlla il linguaggio controlla il popolo. Neolingua, abiling, linguaggio pomposo e manipolatorio: ecco le vere armi delle dittature. Camus diceva: Dare un nome sbagliato alle cose aumenta l'infelicità del mondo; poteva anche dire: Dare un nome sbagliato alla cose è abbruttire il popolo e rafforzare la dittatura».

Da scrittore che vive in un Paese islamico, qual è il legame fra linguaggio e islamismo?

«Sotto il regno dell'islamismo non c'è che l'islam, parlare è recitare versetti e sure, vivere è pregare e adorare Allah. L'islam è una religione assolutista, non lascia alcuna libertà all'uomo. Dimenticarlo è molto pericoloso».

Quali sono le parole più potenti dell'integralismo e del terrore?

«Allah Akbar, jihad: queste due parole bastano per terrorizzare tutto il pianeta».

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