Quattroruote svela i trucchi per rendere le auto "pulite"

Le misurazioni di laboratorio sono molto lontane dalla guida su strada Gomme, olio e condizionatore: così le case si aggiustano i parametri

Quattroruote svela i trucchi per rendere le auto "pulite"

Quanto sono attendibili i dati di omologazione relativi ai consumi e alle emissioni inquinanti delle auto in vendita in Italia e nel resto d'Europa? Per niente, o quasi. Perché i test ufficiali si basano su misurazioni che hanno ben poco a che fare con l'esperienza quotidiana di guida di chiunque si metta al volante di una vettura, grande o piccola, pratica o sportiva, lussuosa o economica che sia. Dunque, aldilà dell'utilizzo del software truffaldino da parte di Volkswagen e dei marchi ad essa collegati per far risultare in regola le emissioni di NOx (ossidi di azoto) del motore 2.0 TDI Euro 5, la discrepanza fra il dichiarato e il reale riguarda un po' tutti i modelli di tutte le marche. Stando alle rilevazioni di Quattroruote , che al dieselgate ha dedicato un'edizione straordinaria, in media sfiora il 40% per le vetture del gruppo Volkswagen equipaggiate con il motore turbodiesel incriminato, sia per quanto riguarda le emissioni di CO2 sia per i consumi di carburante, e arriva addirittura al 62% per la monovolume Sharan. Ma non sono da meno i modelli di altri costruttori: il mensile ha rilevato, per fare alcuni esempi, uno scostamento dal dichiarato del 58% per la Focus Wagon 1.5 TDCI, del 54% per la Renault Captur 1.5 anch'essa con motore Diesel e del 48% per la Toyota Auris station wagon con alimentazione ibrida. Quattroruote spiega poi nel dettaglio perchè i test sulle emissioni inquinanti non dicono il vero e tutti i trucchi per aggirare le regole.

Da quando sono nate le normative antinquinamento, quasi mezzo secolo fa, gli esami per verificare se le vetture rispettano i limiti di legge si sono evoluti, ma nella sostanza sono rimasti gli stessi: le auto non corrono su strada, bensì in laboratorio su rulli frenati in modo tale da riprodurre la resistenza all'avanzamento, e chi è al volante accelera, cambia marcia, rallenta e frena secondo uno schema ben definito. Proprio in questo schema sta il problema: nel ciclo di prova europeo, per esempio, l'accelerazione da 0 a 70 km/h deve compiersi in 41 secondi, un tempo esagerato anche per il più tranquillo degli automobilisti, e la velocità massima in autostrada, oltretutto mantenuta per pochi secondi, è di 120 km/h. A ciò si aggiunge che tutti gli accessori elettrici e il condizionatore - che mangiano energia e quindi incidono su prestazioni, consumi ed emissioni - devono restare spenti, cosa che non avviene praticamente mai nell'utilizzo reale. E sono tollerati vari accorgimenti che permettono di incidere positivamente sul risultato finale: Quattroruote cita, fra l'altro, la disattivazione dell'alternatore, la modifica delle mappature della centralina, l'utilizzo di oli speciali che riducono gli attriti nel motore e nel cambio, il gonfiaggio a pressione più elevata degli pneumatici e l'utilizzo di mescole speciali che riducono la resistenza all'avanzamento, l'allontanamento dai dischi delle pinze dei freni e la copertura delle fessure nella carrozzeria con nastro adesivo. Tanti piccoli aiuti che messi insieme possono dare un grande vantaggio alle Case e lasciano senza difesa i consumatori. Ai quali non rimane che sperare, sull'onda dello scandalo, in una revisione che renda i cicli di omologazione ben più aderenti alla realtà. Ma già si pone un problema: nei test in laboratorio le condizioni ambientali, per quanto ricreate artificialmente, sono uguali per tutti e controllabili con precisione, mentre su strada possono variare e anche di molto, a seconda delle condizioni meteo, dell'asfalto, dei percorsi e del traffico. E poi va risolta la questione dell'armonizzazione su scala globale dei parametri.

Altrimenti, come accade oggi, lo stesso modello con il medesimo motore che una Casa automobilistica commercializza nei principali mercati di tutto il mondo può risultare in regola in Europa, ma non negli Stati Uniti o in Cina e viceversa. E proprio l'esigenza di trovare compromessi accettabili, soprattutto in termini di costi, può portare al ricorso a pericolose scorciatoie, come sembra sia successo nel caso di Volkswagen.

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