Con oltre 250mila follower su Instagram e video, che hanno superato milioni di visualizzazioni, Roberta Tessaro è una delle psicologhe dell'età evolutiva più seguite sui social network. Sarà per le provocazioni che lancia in rete, per le tematiche trattate che riguardano da vicino genitori e figli o per i suoi modi chiari e diretti, ma la psicologa Tessaro è riuscita a fare centro in un mondo - quello social - difficile da conquistare ed è riuscita a costruire una community solida, offrendo spunti di riflessione importanti.
Laureata in Cattolica a Milano, Roberta Tessaro ha avuto modo di approfondire gli studi con master e specializzazioni, che l'hanno portata a essere una figura professionale di riferimento nell'ambito della psicologia dell'età evolutiva. "Nasco come secchiona, posso dirlo? Mi è sempre piaciuto tantissimo l'ambiente della scuola e ho desiderato fare la psicologia sin da quando ero ragazzina", ci ha raccontato: "Dopo l'università ho approfondito la parte legata all'ambito scolastico (disturbi dell'apprendimento, psicologia scolastica) con alcuni master poi ho abbracciato tutta la parte della genitorialità con specializzazioni sulla parte 0-3 anni, sul rapporto tra genitori e figlie e la perinatalità. Oltre al lavoro come libera professionista porto avanti il lavoro di divulgatrice e sui social mi sono ritrovata a condividere pillole di psicologia".
Quando approdi su Instagram e come è nato il tuo progetto social?
Ho iniziato prima del Covid. All'inizio ero molto impacciata ma avevo voglia di condividere pillole sul metodo di studio, come aiutare i bambini nei compiti, e sulla parte dei disturbi dell'apprendimento. Poi, ad un certo punto, c'è stata una svolta. Ho iniziato a fregarmene degli altri e mi sono detta: basta seguire lo standard di quello che la gente si aspetta, dello psicologo dietro la scrivania con il camice, con il tono del consiglio pacato, un po' tutti uguali. Io volevo utilizzare il mio profilo da persona oltre che da professionista. Così ho detto: ci metto la faccia ma con spontaneità, con onestà e lì c'è stata la svolta, è emersa la mia personalità e ho visto che in questo modo arrivavo di più alle persone.
I tuoi video sono molto particolari: inquadratura centrale su di te, piccoli gesti anche provocatori. Hai trovato la chiave per attirare l'attenzione del pubblico?
È venuto tutto in modo spontaneo. Tutto è nato dai pazienti e dalle persone con le quali per lavoro mi confronto, che mi dicevano: "Quando spieghi le cose con i tuoi esempi le capisco". Quella di prendere cose pratiche della vita quotidiana per spiegare è una caratteristica mia, è una cosa che arriva anche dagli anni delle ripetizioni che facevo ai ragazzini. Poi mi sono resa conto che sui social non si può stare nel grigio, per attirare l'attenzione la provocazione ci deve essere, sennò il video diventa banale. Quindi la provocazione a me serve per attivare sia l'attenzione sia la riflessione, poi sono consapevole che questo può scatenare polemiche su polemiche.
Quando ti sei accorta che stavi diventando popolare? Qual è stata la risposta dei follower?
Dipende molto dalla fortuna: fai il video giusto nel momento giusto e arrivi alle persone. C'è stato un video sul tema "Al posto di dire questo, prova a dire questo" - un video molto pratico - che è diventato virale. Lì ho capito che quella era una modalità di video apprezzata. Ma si va un po' a ondate, ad esempio quello standard ora non la userei più, ma in quel periodo funzionava.
Creare contenuti, trovare spunti, registrare e pubblicare è un vero e proprio lavoro tanto quanto fare la psicologa?
Sì, ma per me rimane ancora una cosa spontanea più che un lavoro. Quello dei content creator è un mondo molto grande che ancora mi è un po' sconosciuto. Tuttora guardo e osservo ciò che accade attorno a me. Personalmente trovo gli spunti per creare video nel mio lavoro quotidiano e nasce tutto un po' così, sul momento, ma mi rendo conto che si crea un legame - anche se virtuale - con le persone. Questo significa che non puoi pubblicare un video ogni tanto, quando ti va. La gente in qualche modo se lo aspetta, quindi sì, diventa un lavoro, nel senso che è un impegno creare il contenuto, girarlo, caricare il video anche se, nel mio caso, è "buona la prima": accendo la telecamere e la prima registrazione è quella buona, come l'ho detto l'ho detto. Solo che, rispetto all'inizio, ora deve esserci continuità e questo occupa tempo anche se poi c'è la parte che non si vede che è quella della libera professione, che occupa molto del mio tempo lontano dai social.
Cosa ti chiedono gli utenti: consigli, curiosità, consulenze?
Sì, molte persone iniziano a capire dagli argomenti che propongo e dalle tematiche che tratto, che c'è una vicinanza a quello che provano nel quotidiano. C'è chi mi chiede di approfondire fuori da Instagram con consulenze e chi, invece, si ferma al consiglio pratico che condivido sui social. Purtroppo la psicologia non è solo pillole di consigli, è altro. Bisognerebbe distinguere la pillola di stimolo, che ti posso dare sui social, dalla consulenza. La fatica è proprio fare capire questo: che lo spunto non è come la consulenza, in cui si può approfondire la singola situazione.
Gli aspetti più sgradevoli del successo sui social sono gli haters e i commenti negativi: come li gestisci?
Non sono un robot, quindi non posso dire che non mi colpiscano certi commenti, perché non sarei umana. Persone a me vicine mi hanno fatto notare, però, che sono brava ad andare avanti, vedendo ciò che scrivono. Devo ammetterlo, io leggo il 2% di ciò che viene scritto perché anche quello sarebbe un lavoro; non vedo tutto quindi posso dire che "occhio non vede, cuore non duole". Come li fronteggio? Diciamo che cerco di capire qual è il tema che porta alla polemica. Se si tratta di opinioni divergenti dico: "Va bene, nei social è così, ognuno vuole dire la propria opinione". La cosa che mi ha colpito di più, invece, è quando cercano di delegittimare la mia professionalità, quando mettono in dubbio la mia credibilità. Questo mi dispiace perché si è disabituati - un po' perché si è donna, perché non si hanno figli o per x motivi - a dare credibilità solo a chi si presenta con il camice sui social. A questi commenti ho dato risposta con dei video, in altri casi lascio che le persone si esprimano, perchè vedo che alla fine prevale l'apprezzamento del contenuto mentre l'hater lo trovo ovunque.
Nei tuoi video parli spesso di ascolto attivo e consapevolezza emotiva.
Sento il bisogno di parlare di questi temi costantemente, perché mi sembra che non sia mai abbastanza. La mia "missione" è quella di fare capire alle persone che sono vicina alla fatica dei genitori di oggi. Per me è importante che il genitore si senta capito del fatto che è faticoso affrontare la nuova modalità di essere genitori, ma allo stesso tempo voglio fare capire che ci dobbiamo provare, perché è quello che serve per le future generazioni. Io vorrei essere quella mano che accompagna in questo ponte tra quello che ci hanno trasmesso i nostri genitori - che hanno fatto quello che potevano nell'era che hanno vissuto - e il futuro, dove la consapevolezza emotiva è la chiave di tutto. Perché la consapevolezza emotiva è quello che serve ai bambini di oggi per poter vivere bene nella società.
In questo contesto nasce il tuo libro "Il filo rosso delle emozioni"?
Sono una mangiatrice di libri e mi perdo nelle librerie, quindi per me scrivere un libro è stato un sogno che si è realizzato. Diciamo che non è stata una cosa forzata, dettata dalla popolarità ottenuta sui social, ma c'era già un desiderio, un sogno poi c'è stata l'opportunità grazie a Sperling & Kupfer. Questo è il primo libro, ma avrei milioni di cose da dire e raccontare.
L'ultimo anno è stato molto difficile per te a livello personale, ma grazie ai social e alla community che hai creato sei riuscita ad andare avanti.
Ho sentito che c'era un bisogno forte, quello di raccontare un pezzo della mia vita privata, come forma di conforto. Serviva a me, perché la pagina social è anche il mio racconto, quindi non potevo fare finta di nulla, non potevo fare finta che non stessi vivendo momenti difficili. Ma è servito anche ai miei follower perché attraverso il racconto di me ho aperto le porte a molte altre persone.
E questa una sfumatura positiva nell'utilizzo dei social: io ricevo la carezza e la vicinanza degli altri utenti, ma allo stesso tempo tendo la mano e dico: "Io ho vissuto questo cosa, se hai voglia raccontami quello che hai vissuto tu". È una condivisione.