La faccia porta ancora i segni di quella sera. Lividi sotto l'occhio sinistro, come capita di vedere negli incontri di boxe. «Cinque minuti prima mia mamma mi aveva mandato un messaggio: Sto guardando 4 di Sera su Rete 4, attento perché ci sono scontri in corso. Ho letto quel messaggio, le ho risposto di stare tranquilla, poi ho sentito un colpo fortissimo. Pensavo di svenire, mi sono chinato e ho intravisto le mie scarpe rosse, imbrattate dal mio sangue. Un attimo ancora e mi sono accorto che da un occhio non ci vedevo più».
Era la sera del 14 ottobre scorso. Due mesi dopo, Davide Albini Bevilacqua (foto) è seduto in un bar di Milano, davanti a un caffè. «Non ho recuperato la sensibilità nella parte sinistra del volto, ancora mi traballano i denti», e nel dirlo si tocca la bocca, dolorante.
La cronaca ha rapidamente ingoiato gli scontri di Udine, il tentativo dei Pro Pal di boicottare la partita di calcio fra Italia e Israele, disputata fra imponenti misure di sicurezza. Nessuno, o quasi, si è preso la briga di portare la propria solidarietà a quel reporter che stava filmando gli incidenti scatenati dai Pro Pal qualche minuto prima.
«Io ero subito dietro il cordone della polizia, tenevo la telecamera ben alta e avevo il casco allacciato. La polizia aveva cercato di contenere la manifestazione, ma a sinistra c'era un parco, una zona aperta e non presidiata. Da lì è partita una fitta sassaiola contro le forze dell'ordine. All'improvviso una pietra mi ha preso in faccia e il casco è volato via. Non ho sentito male, tanto era forte il colpo. Gli occhiali si sono spaccati. Perdevo sangue come una fontana, mi sono accorto che non ci vedevo più dall'occhio sinistro, sono stati preso dal panico, da una paura indefinita: ho iniziato a chiedere aiuto, gridavo mentre intorno a me infuriava la battaglia».
Albini Bevilacqua viene operato due volte nella notte, una notte drammatica: «Prima l'occhio che era a rischio, e dove hanno trovato anche frammenti di vetro, poi mi hanno portato dal chirurgo maxillo facciale, avevo mezza faccia frantumata. Mi hanno inserito tre placche di titanio che terrò a farmi compagnia per tutta la vita».
Una storia pesantissima, dal finale ancora incerto. Ma Albini Bevilacqua, cronista di 32 anni a Udine per il Local team, giornalista pubblicista, è solo un puntino nelle retrovie dell'informazione. Nessun comitato, zero solidarietà, appelli manco a parlarne. Semplicemente, quel che gli è capitato viene immediatamente dimenticato.
«Ero in ospedale e lì mi ha raggiunto una telefonata affettuosa del presidente della Fnsi Vittorio Di Trapani. Poi so che in parlamento Antonio Tajani mi ha citato e questo mi ha fatto piacere. Ma dagli organizzatori della manifestazione di Udine non mi è arrivata nemmeno una chiamata, nemmeno un sms, nemmeno un messaggino». Fosse stato ferito un dimostrante, ora il suo nome sarebbe celebre. Sulle labbra di tutti. Invece il cronista è sparito in una nuvola di silenzio e indifferenza. Anche i grandi giornali e le televisioni si sono dimenticati in fretta di questo ragazzo, cresciuto fra Salice Terme e Voghera con la vocazione per il racconto, e pure dell'altra reporter, Elisa Dossi di RaiNews 24, colpita per fortuna in modo meno grave ad una caviglia.
«Con Elisa siamo diventati amici, ma devo dire che anche molti colleghi sul campo mi sono stati vicini. Quel che è mancato è stato il resto: nemmeno una parola, un gesto, un biglietto dalle istituzioni. E però ho perso un mese e passa di lavoro, ho sostenuto e dovrò sostenere a lungo visite e controlli, e non è detto che recuperi la vista e tutto il resto. Pure per i denti si vedrà più avanti, oggi è ancora impossibile intervenire». Umiliazioni e disagi che non hanno raggiunto l'opinione pubblica. «Diciamo che sono rimasto solo con mia mamma, vedova, e mia sorella, ad affrontare questo percorso e il lento, spero totale, ritorno alla normalità». Le indagini vanno avanti: si esaminano i filmati girati il 14 ottobre, ma al momento non si sa chi abbia scagliato il sasso. «Conclusa in modo pacifico la manifestazione ufficiale - riprende lui - è nata una discussione fra i promotori e i contestatori che volevano incendiare l'ambiente.
I primi hanno cercato di calmare gli animi, volevano finirla lì, insistevano perché il corteo si sciogliesse, ma gli altri non hanno voluto saperne, a un certo punto si sono staccati e hanno attaccato le forze dell'ordine. Erano fra i cento e i duecento e ci hanno tirato addosso di tutto». Compresa la grossa pietra che ha mandato ko il reporter, sfigurandolo. Fosse stato colpito un attivista, chissà cosa sarebbe successo