Quegli azzurri irrequieti pronti a trattare con Salvini

I parlamentari di Fi che rischiano il seggio: il partito ci vuole sacrificare, per salvarci dobbiamo andarcene

Quegli azzurri irrequieti pronti a trattare con Salvini

Mercoledì scorso, seduti su uno sgabello nel corridoio di Palazzo Madama che immette nel grande salone dove si affaccia la buvette, due-tre senatori di Forza Italia o di provenienza post dc, eletti al Sud, si interrogano sul loro destino nella fase ascendente del «sovranismo salviniano». Il più «strutturato» è Claudio Fazzone, coordinatore del Lazio, che mostra di avere le idee molto chiare. «È tutto in movimento confida -: Salvini per mettere in crisi il governo e andare al voto sta tentando di portare dalla sua parte i grillini di destra. Ma se gli va bene riesce ad accasarne non più di sette. In quel caso entreremo in ballo noi. Saremo una quindicina di senatori azzurri. Anzi, è quasi sicuro che il gruppo parlamentare lo metteremo in piedi lo stesso al di là di questa evenienza. Il motivo è semplice: in Forza Italia stanno trattando con il leader della Lega per garantire 20-30 persone. Noi saremmo «i sacrificandi». Se così stanno le cose, organizzeremo un soggetto politico che tratterà per garantire noi: se Salvini vuole le elezioni dovrà venire a patti anche con noi, altrimenti sosterremo il governo. Sia chiaro: la nostra iniziativa nasce nell'ambito del centrodestra, per dialogare con il centrodestra; se poi non ci vogliono, guarderemo altrove. Sapendo che quest'area moderata a cui ci riferiamo, potrà avere un futuro solo se riusciremo a strappare una legge elettorale proporzionale. Con il proporzionale sarà Salvini a doverci pregare se vuol fare il Premier».

Il ragionamento, al netto degli interessi personali di ciascuno, ha un senso. E deve essere andato molto avanti se i «costituendi», ad esempio, per rispettare il regolamento di Palazzo Madama che prevede per dar vita ad un nuovo gruppo la presenza di un senatore che abbia a disposizione un simbolo presentato alle ultime elezioni (Renzi, ad esempio, arruolò l'ultimo segretario del Psi, Riccardo Nencini), hanno voluto con loro un esponente dell'Udc, quell'Antonio Saccone, già uomo ombra del leader dell'Udc Lorenzo Cesa, il quale lontano da orecchie indiscrete suona la grancassa della riscossa scudocrociata: «I democristiani non moriranno sovranisti. Il nome del nuovo soggetto? Magari l'Altra Italia, come aveva ipotizzato il Cav: sarebbe una bella provocazione». E nel gruppo, secondo le voci di Palazzo Madama, ci sono personaggi diversi: da Mallegni a Dal Mas, da Causin, a Stabile, a Berardi.

Non finisce qui: a sentire i bene informati, alla Camera è già pronta un'iniziativa uguale: stessi scopi, stessa ragione sociale, magari diverso nome. Dietro ci sarebbero personaggi di grido che hanno posizioni agli antipodi: l'anti-sovranista Mara Carfagna e il «diversamente sovranista» Giovanni Toti. I numeri, però, per ora non tornano, ma gli organizzatori non demordono. Il concetto più esplicativo che collega le due operazioni sul filo del pragmatismo spinto, lo fornisce il toscano, Massimo Mallegni, che in un angolo di Palazzo Madama ti chiede a bruciapelo alzando il naso all'insù: «Mi guardi per favore se ho un buco che attraversa le due narici. Dici di no? Lo chiedo perché qualcuno deve aver pensato che portassi l'anello al naso». Già, il gruppo serve a trattare direttamente con Salvini. Anche la «polemica» dell'altro ieri della Carfagna sull'astensione di Forza Italia sulla delibera sulla commissione Segre sul razzismo, qualcuno la interpreta in questa logica. «Io voglio bene a Mara confida la Ravetto ma non può spararci addosso solo perché vuole trattare con Salvini, o con chiunque altro, per salvare i suoi». Mentre l'ipotetica alleanza con Toti, suscita qualche perplessità anche nell'area anti-sovranista di Forza Italia. «Mara un dribbling dopo l'altro è la battuta di Gianfranco Rotondi rischia di dribblare anche se stessa».

Se Zygmunt Bauman fosse ancora vivo, dovrebbe essere stracontento: la sua teoria sulla società «liquida» si attaglia perfettamente al nostro Parlamento: appunto, il Parlamento «liquido». Mai come in questa stagione, infatti, la geografia politica è in continuo cambiamento: in un battibaleno siamo passati dal governo gialloverde, al suo opposto giallorosso; e, tra scissioni e migrazioni, in un anno mezzo i partiti e i gruppi parlamentari sulla scena si sono moltiplicati. Siamo in pieno divenire: anche le regole si sono «liquificate». Ad esempio, quest'estate dal Quirinale avevano fatto sapere che qualora fosse stata approvata la legge che riduce i parlamentari, il capo dello Stato avrebbe dovuto garantirne l'applicazione già dalla prossima legislatura, per cui niente elezioni fino a quando gli obblighi di legge in tal senso non fossero stati esauditi: fu il motivo che spinse Salvini a tentare la mossa sciagurata della crisi di agosto per andare subito alle urne. Sono passati tre mesi e contrordine compagni. Dal Colle è giunta, infatti, la notizia che anche se la legge sulla riduzione dei parlamentari non è pronta all'uso (magari, se fossero raccolte le firme necessarie, per celebrare il referendum confermativo a giugno), si può votare lo stesso. Una minaccia che ha messo la litigiosa maggioranza giallorossa davanti alle sue responsabilità. «Il Quirinale ha cambiato interpretazione è il sussurro sarcastico del leghista Calderoli , quindi quest'estate avevo ragione io».

Così, alla fine, al leader della Lega per centrare l'obiettivo delle urne, resta solo la strada di portare qualche grillino nelle sue file. Che ci stia provando è sicuro. «Al Senato c'è qualche movimento precisa il presidente della Commissione Esteri, il grillino Vito Petrocelli ma nulla di rilevante. Alla Camera forse potrebbe strapparci una dozzina di deputati, ma chissene, non sono determinanti». «Lo scambio che Salvini propone è semplice conferma il 5stelle Elio Lannutti -: tu mi aiuti a mandare a casa il governo per avere le elezioni; e io ti candido».

Insomma, siamo all'arruolamento con i metodi della marina inglese, ma non è detto che riesca. Ad esempio, uno degli emissari della Lega si è sentito rispondere dal senatore grillino, il sardo Ettore Licheni, che pure ha una passione per il leader del Carroccio: «Voi confondete la confidenza con il tradimento». «Il punto vero chiosa Matteo Renzi è che i 5stelle sono una polveriera ma se hanno una cosa chiara in testa è quella di restare lì: quando gli ricapita?! Eppoi Casaleggio vuole arrivare alle nomine di primavera e continuare a fare il suo gioco».

Senza contare che Salvini per strappare le urne dovrebbe accontentare gli eventuali grillini «acquisiti», gli azzurri della casa madre e quelli di possibili «derivate». Gente che viene e gente che va; persone che arruoli e persone che disertano: basta e avanza per uscirne pazzo e per dissanguarsi di promesse. Tant'è che l'«operazione» suscita scetticismo pure nel centrodestra. «Matteo ci prova ammette Ignazio La Russa -, ma l'impresa è difficile. Eppoi, diciamoci la verità, lui non è tagliato per questo lavoro. E, a differenza di Berlusconi, non ha un Verdini a disposizione. Ce l'ha in famiglia, ma non in campo».

Così ultima speranza di Salvini - si torna all'ipotesi di scuola dell'Ulivo edizione 1996-1998: cioè che il governo che batte bandiera giallorossa si autoaffondi. Un epilogo non dettato dalle intenzioni, ma da una vocazione al suicidio dell'equipaggio. «Le elezioni anticipate fu il commento della vittima di allora, Romano Prodi non le prevedi, non le decidi, ci caschi dentro».

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