Coronavirus

Quei documenti sotto chiave: la verità sull'esercito a Bergamo

Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso del Viminale contro l'Agi: negata la lettura degli atti che portò alla mancata zona rossa in Val Seriana

Quei documenti sotto chiave: la verità sull’esercito a Bergamo

Fai presto a dire "trasparenza", come spesso fa il ministro Roberto Speranza. Perché tra il "dire" e il "fare", in mezzo ci sono cavilli giuridici, Tar e Consigli di Stato che alla fine rendono quasi impossibile sapere la verità su quanto successo nelle prime fasi dell'emergenza coronavirus.

I lettori del Giornale.it conoscono alcune delle battaglie che sono state combattute su questo campo. Sono note le disfide col ministero della Salute del deputato Galeazzo Bignami, che per ottenere il "piano segreto" e i verbali della task force s'è dovuto appellare al Tribunale amministrativo (vincendo in entrambi i casi). Lo stesso dicasi per i familiari delle vittime del Covid, che con Consuelo Locati e Robert Lingard portano avanti un lavoro di ricerca documentale impressionante. Oggi è il turno dell'Agenzia Giornalistica Italiana, che dopo un anno di "complesso iter di accesso agli atti" s'è visto rifiutare dal Consiglio di Stato il diritto (noi lo riteniamo tale) di visionare gli atti che a marzo 2020 portarono alla mancata "zona rossa" in Val Seriana.

I fatti risalgono al 5 marzo del 2020. Come rivelato e ricostruito nel Libro nero del Coronavirus (Historica Edizioni), quel giorno circa 400 uomini tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito vengono inviati in Val Seriana. I primi casi di coronavirus spaventano la Bergamasca, dove i numeri salgono in maniera preoccupante. Il governo Conte II ha già disposto la quarantena di Codogno e Vo' Euganeo, ma la Regione Lombardia chiede di fare lo stesso anche tra Nembro e Alzano Lombardo. I ministeri inviano personale sul campo. Militari e poliziotti prendono posto negli hotel della zona. Tutto sembra pronto per disporre la zona rossa. Ma qualcosa si inceppa: le forze dell'ordine vengono lasciate inermi negli alberghi, poi tre giorni dopo arriva l'ordine di ritiro. La zona rossa in Val Seriana non si farà mai.

Molti ancora oggi si chiedono: perché venne fermata la macchina? Da chi arrivò l'ordine? E soprattutto: la decisione contribuì a trasformare la provincia di Bergamo in uno dei focolai Covid più drammatici del mondo, con camion di bare trasportati verso forni crematori strapieni? La risposta a queste domande, forse, si trova negli atti che i ministeri e il governo devono aver disposto e firmato per avviare (e poi ritirare) la missione delle divise in Val Seriana. Il governo della Trasparenza non li ha mai resi noti, così l'Agi un anno fa ha provato a fare un accesso agli atti al ministero dell'Interno per poter consultare i documenti.

Roba intricata. Il 6 novembre scorso il Viminale risponde picche, aggrappandosi alle “cause di esclusione” previste dalla legge cioè “la sicurezza e l’ordine pubblico”, la “sicurezza nazionale”, “la difesa e le questioni militari”, “la conduzione dei reati e il loro perseguimento”. L'Agi però non si dà per vinta e presenta ricorso al Tar per mezzo dell'avvocato Gianluca Castagnino. Scelta azzeccata: i giudici amministrativi le danno ragione, ordinando di mostrare gli atti entro 30 giorni perché l’accesso civico “è finalizzato a favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. Per i giudici Francesco Arzillo e Daniele Bongiovanni rendere pubbliche le carte non comporterebbe nessun pericolo perché “la richiesta è stata formulata nel settembre 2020 quando la questione della ‘chiusura’ delle aree era superata da tempo”, inoltre “si tratta di un’attività di impiego di militari in un ambito toponomastico e temporale circoscritto e non si inquadra in un contesto più ampio finalizzato alle modalità di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica". E soprattutto perché il procuratore Antonio Chiappani aveva assicurato che la divulgazione non avrebbe rovinato le indagini: nessun atto è coperto da segreto istruttorio.

Peccato che il ministero, alla faccia della trasparenza, abbia deciso di ricorrere al Consiglio di Stato. Che ora dà ragione al Viminale, disponendo la sospensiva della decisione del Tar e facendo calare di nuovo il velo del segreto su quegli importanti documenti. Nell’ordinanza firmata dal presidente Michele Corradino e dal giudice estensore Giovanni Pescatore, i giudici dicono che ha ragione il Ministero a lamentare che il Tar non abbia spiegato bene perché non ci sono ragioni contrarie alla divulgazione. "Manca solo un ultimo ‘gradino’ - dice l'Agi -: la decisione nel merito del Consiglio di Stato la cui data è ancora da fissare. In questi casi, è raro che la decisione nel merito ‘smentisca’ la sospensiva.

Rischia dunque di restare un mistero sulla base di quali atti Governo e Regione, entrambe ne avevano facoltà, decisero di non dare corso al suggerimento del Cts".

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