Un timore assale la mente di Matteo Renzi a un mese dal voto per le politiche: affrontare la fase clou della campagna elettorale con una squadra a mezzo servizio. Un pezzo del governo Gentiloni guferebbe contro una possibile rimonta elettorale (impresa quasi impossibile) del leader dei democratici. Una pattuglia di ministri sembra intenzionata a non prestare volto e sostegno pubblico alla battaglia finale. Una mossa accolta con irritazione al Nazareno e che punterebbe a indebolire la forza contrattuale dell'ex premier nella fase post-voto.
Sulla decisione di alcuni ministri, di alleggerire l'impegno elettorale, sta influendo anche il desiderio di vendetta contro il segretario del Pd per le scelte nella composizione delle liste, che hanno premiato il cerchio ristretto renziano. Alla testa del gruppo dei ministri dissidenti c'è Marco Minniti: il titolare del Viminale, scaricato nel collegio uninominale di Pesaro, dove la vittoria appare complicatissima, e recuperato nel proporzionale, ha deciso di annullare la partecipazione a programmi televisivi. Un colpo micidiale per la propaganda renziana, che sperava nell'effetto Minniti per disinnescare il giudizio negativo degli italiani sulla gestione dei flussi migratori. Niente da fare. Il ministro dell'Interno ha scelto di concentrare il proprio impegno, fino al 4 marzo, nelle Marche per evitare lo smacco di una sconfitta elettorale.
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, il più anti-renziano del governo Gentiloni, non solo ha rifiutato l'offerta di una candidatura col Pd ma ora ha ufficializzato il sostegno alla battaglia elettorale della lista +Europa di Emma Bonino. Una operazione strategica, sia per togliere voti a un Pd sempre più plasmato sul giglio magico che per avere un peso politico nelle trattative post-voto. Calenda lo nega, ma il vero obiettivo resta quello di guidare un governo di larghe intese. Obiettivo possibile, a patto che il centrodestra non raggiunga la maggioranza dei seggi alla Camera e al Senato e che il Pd scenda sotto la soglia del 20%.
Nella partita anti-Renzi di Minniti e Calenda si sono inseriti altri due ministri: uno di fede renziana, Graziano Delrio, l'altro, Andrea Orlando, considerato l'anello di collegamento con gli ulivisti Prodi e Veltroni. Il ministro delle Infrastrutture è candidato nel collegio uninominale di Reggio senza alcun paracadute. «Una scelta mia», ha commentato a caldo Delrio, ma resta la delusione per il trattamento privilegiato riservato a Luca Lotti e Maria Elena Boschi, che insieme al ministro delle Infrastrutture formavano il giglio magico del rottamatore. Delrio si farà vedere poco in tv, preferendo (a Renzi) il territorio. Non è un mistero che anche l'ormai ex braccio destro del segretario del Pd coltivi l'ambizione di Calenda di sbarcare a Palazzo Chigi. Andrea Orlando gufa contro una possibile rimonta di Renzi per due ragioni: la prima, in caso di tracollo del Pd il Guardasigilli avrebbe le carte in regola per la guida del partito; la seconda è riportare a casa gli ex compagni di Liberi e Uguali.
Per la leadership del partito, l'unico competitor interno è Dario Franceschini che ha rinsaldato il patto con Renzi
blindando i suoi uomini nelle liste. Per riaprire, invece, le porte del Nazareno a Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani vanno spazzati via Renzi e i renziani. Quale migliore occasione di una campagna elettorale fallimentare?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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