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Quelle tante Asia Bibi schiave in nome di Allah

La storia emblematica di Fouzia, cristiana, rapita a 25 anni costretta a sposare uno sconosciuto e a convertirsi all'islam

Quelle tante Asia Bibi schiave in nome di Allah

Fouzia Sadiqe stava lavorando nei campi in Pakistan, come ogni giorno, quando è stata rapita dal suo datore di lavoro. Era il 23 luglio 2015 e la donna cristiana, 25 anni, madre di tre bambini, è stata attirata con l'inganno nella casa del proprietario terriero musulmano Muhammad Nazir, 55 anni, sposato e padre di otto figli. Non vedendola tornare a casa, i familiari di Fouzia, tutti impiegati di Nazir nel villaggio di Burj Mahalam, provincia del Punjab, si sono recati dal padrone a chiedere informazioni. «Ha del lavoro da finire, tornerà da voi domani», furono tranquillizzati. Ma il giorno seguente Fouzia non tornò e un uomo si presentò a casa della donna per annunciare che non l'avrebbero vista mai più: «Si è convertita all'islam e ha deciso di sposare Nazir. Ora è di sua Sono tante le donne cristiane perseguitate in Pakistan. Asia Bibi, madre cattolica condannata all'impiccagione per false accuse di blasfemia, si trova in carcere da oltre sei anni per aver bevuto un bicchiere d'acqua. Fouzia e molte altre come lei, invece, vengono rinchiuse in un tipo diverso di prigione. Secondo un rapporto del Movimento per la solidarietà e la pace, ogni anno in Pakistan mille ragazze, 700 cristiane e 300 indù, vengono sequestrate da musulmani, costrette a sposarsi e convertirsi all'islam. La piaga è diffusa soprattutto nel Punjab, dove la presenza di fondamentalisti islamici è più forte, e il copione è sempre lo stesso: le ragazze vengono rapite tra i 12 e i 25 anni, la famiglia sporge denuncia e se la polizia l'accetta, i rapitori presentano una controdenuncia accusando i familiari della donna di volerla obbligare a tornare alla religione di provenienza. Se i parenti non si fanno scoraggiare dalle minacce di morte che inevitabilmente ricevono, il caso finisce in tribunale, dove alla donna viene chiesto di pronunciare davanti a tutti la sua volontà.

Il processo però non è imparziale: i giudici sono quasi sempre sotto pressione per la presenza in aula di centinaia di estremisti, che inneggiano ad Allah e urlano slogan contro i cristiani. Inoltre, mentre il caso viene istruito, le donne sono lasciate in custodia ai rapitori, che le costringono a testimoniare il falso con minacce e violenze. Quando i genitori di Fouzia si sono rivolti alle autorità, la polizia dopo aver sentito il nome del musulmano, molto potente nella zona, si è rifiutata di registrare la denuncia. Solo grazie all'intervento di un avvocato difensore dei diritti umani la questura ha aperto un'indagine, alla quale Nazir ha reagito minacciando di morte i cristiani. È stata Fouzia a cambiare un finale già scritto, quando l'8 marzo è riuscita a scappare dopo una prigionia durata otto mesi. Prima di essere nascosta in un luogo segreto dalla famiglia, ha raccontato che cosa ha subito: «Prima del matrimonio forzato e della conversione all'islam, sono stata violentata molte volte. Nazir ha minacciato di uccidere me e la mia famiglia, poi mi ha fatto sterilizzare perché non potessi più avere figli. Ma io ho sempre avuto una forte fede in Gesù: sapevo che lui poteva salvarmi da quell'uomo». Fouzia non sapeva che il suo calvario non era ancora finito: prima del processo, che comincerà il 5 aprile, Nazir è riuscito a rapirla di nuovo, scoprendo dove era stata nascosta e facendola sparire dopo la messa della Domenica delle Palme.

«Ora subirà violenze e torture perché dichiari il falso davanti al giudice», si è disperata la famiglia.

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