La statua di Indro Montanelli, indimenticabile maestro di giornalismo, la celebrazione di Diego Armando Maradona, el pibe de oro, hanno dato la stura a un odio e a un'aggressività sconvolgente. L'attacco feroce ai morti impressiona perché con la morte si considerano estinte pene e peccati e l'oggetto dell'odio nella realtà non c'è più. La morte dovrebbe lenire il ricordo e far subentrare una sorta di pacificazione, un perdono che potrebbe dare serenità in chi rimane, cogliendo il bene e accettando il male che vengono integrati in una rappresentazione mentale unitaria.
Per molte persone questa operazione psichica sembra impossibile, gli aspetti positivi sono scissi da quelli negativi e la debolezza e la fragilità umana anche se contraddistinguono ogni persona non sono ritenuti accettabili neanche dopo l'estrema unzione. La morte di Maradona ha riacceso la solita polemica che ha come scopo impedire che chi ha molto amato un personaggio lo possa celebrare come un simbolo positivo. Per gli odiatori il calciatore non può e non deve essere ricordato per le emozioni donate a milioni di fan, ma per la cocaina o l'evasione fiscale. Cosa c'è dietro questa spinta moralistica? Il calciatore era un luminoso esempio di riscatto sociale, essendo passato da una infanzia difficile e poverissima al dominio del mondo del calcio. Poi la sua fragilità lo ha portato alla frequentazione di personaggi deprecabili, all'abuso di sostanze e a una vita affettiva turbolenta.
Con la morte solitaria e precoce ha pagato un prezzo altissimo eppure non basta a concedergli un funerale senza recriminazioni. L'uomo ha sbagliato e anche da morto deve essere esposto al pubblico ludibrio, ricevere una giusta ed esemplare punizione. Difficile credere che lo scopo sia rieducativo sulla scia del famoso «colpirne uno per educarne cento» di memoria cinese. Maradona ha fatto qualcosa che per alcuni è imperdonabile. Percorreva la via del successo, riscattava l'umanità dalla povertà e dai traumi dell'infanzia e poi si è mostrato così umano e così fragile, in balia degli istinti da cui ogni melanconico vorrebbe fuggire, in balia di una pulsione di morte che non è riuscito a dominare nonostante il talento e il denaro, caratteristiche che suscitano inevitabile invidia.
Questa parte inaccettabile di sé trasforma il calciatore in un'icona minacciosa, da rifiutare e rispedire il più velocemente possibile nella baracca di Lanus, a Buenos Aires, perché non ci ricordi che nella vita si può cadere facilmente ai piedi della propria limitatezza.
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