Da Quirinale nessun "aiutino" Il piano B: governo elettorale

Il capo dello Stato «non si metterà a cercare i voti» per far nascere una maggioranza Pd-Cinque stelle

Da Quirinale nessun "aiutino" Il piano B: governo elettorale

Roma Arriva a Genova e vede subito Conte. Una stretta di mano, quattro parole di circostanza, poi tutti alla cerimonia, un anno dopo il crollo del ponte Morandi. Nessun vertice, niente consigli: non è il luogo né il momento adatto per indottrinare il premier, e del resto non ce n'è bisogno. Il presidente del Consiglio sta già seguendo le istruzioni del Colle. Non si è arreso subito a Salvini, non ha accettato una crisi extraparlamentare, non si è fatto prendere dalla foga. Martedì parlerà al Senato e, se si dimetterà senza essere prima sfiduciato, chissà, hai visto mai, può sperare in un reincarico. «Cambiare le ruote senza fermare la macchina», dice Marco Minniti. Difficile. Si può fare solo se nel frattempo Pd e 5s si presenteranno alle consultazioni con un vera intesa di governo e un vero programma. Sergio Mattarella non vuole accordicchi.

A Genova ci sono pure i due litiganti, Matteo Salvini e Luigi Di Maio: pressoché ignorati anche loro. Un'ora dopo, finita la commemorazione, Il capo dello Stato riprende l'aereo e torna alla Maddalena. Altri giorni di vacanza quasi ostentata, altra distanza fisica dagli eventi burrascosi di Roma. Ma la strategia del silenzio funziona. Senza proclami o appelli, senza scomporsi, senza aprire bocca, Mattarella è riuscito a riportare la crisi nei suoi binari previsti dalla Costituzione. No a una caduta immediata del governo, no a dibattiti sulla fiducia a Ferragosto, no a scioglimenti ultrarapidi delle Camere, no alle bizzarrie sui calendari parlamentari. Senza dover muovere un muscolo, martedì sera il presidente ha bocciato pure la mossa del cavallo di Salvini, cioè approvare il taglio dei parlamentari - giunto alla quarta e definitiva lettura - e andare subito alle urne. No, non si può fare, ha fatto sapere il Quirinale. Primo, è impensabile varare una riforma così importante e che cambia le regole del gioco, come il numero dei rappresentanti del popolo, e poi congelarla per cinque anni, votando con il vecchio sistema. Secondo, una volta passata la legge, occorre comunque dare il tempo ai soggetti autorizzati - mezzo milione di cittadini, un quinto dei parlamentari, cinque consigli regionali - di chiedere un referendum. Senza parlare dei decreti attuativi e dei collegi da ridisegnare. Ci vogliono mesi.

Ma dei paletti silenziosi li ha messi pure attorno all'ipotesi di un nuovo governo. Dal gabinetto istituzionale per approvare la Finanziaria e il taglio di deputati e senatori proposto da Matteo Renzi, all'accordo organico di legislatura caldeggiato da Nicola Zingaretti, al Conte bis aperto a sinistra sognato dai Cinque Stelle: agli occhi del Colle tutto può andare bene, sebbene tutto sia scritto sulla sabbia dei desideri. Certo, come prescrive la Carta, «se si forma una maggioranza alternativa, il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere». E inoltre, Mattarella condivide l'allarme per i conti pubblici: con le elezioni in autunno si rischia di non fare in tempo a preparare la manovra. Però ha fatto capire che lui, a differenza di alcuni predecessori, non metterà la manina e non darà «l'aiutino». Pd e grillini devono cavarsela da soli, il capo dello Stato «non si metterà a cercare i voti uno per uno».

È una questione di numeri, ma forse per avere il via libera non basterà dimostrare di disporre di una maggioranza. Il Quirinale vuole anche vedere un'intesa seria, con un programma preciso e un certo respiro temporale.

Insomma, un governo per fare qualcosa, non soltanto un'operazione contro. Altrimenti scatterà il piano B, un nuovo esecutivo di garanzia per andare al voto. Dunque in un modo o nell'altro Salvini dovrà presto lasciare il Viminale, al momento sembra l'unica certezza.

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