Roma brucia. Non solo le fiamme appiccate da piromani, ma anche i roghi all'interno dell'amministrazione pentastellata iniziano ad assumere dimensioni sempre più imponenti. È passato esattamente un anno da quando l'ex assessore all'ambiente Paola Muraro iniziò a isolare il direttore di Ama, Daniele Fortini costringendolo a dimettersi. Oggi, per la legge del contrappasso, le grane all'interno della giunta, guidata dal sindaco Virginia Raggi, arrivano proprio da uno degli uomini da lei scelto per guidare una delle aziende più indebitate d'Italia, l'Atac, Bruno Rota. «Ne resterà soltanto uno»: la celebre frase del film Highlander sembra calzare a pennello a questa vicenda. Bruno Rota non è più direttore generale dell'Atac. L'amministratore unico dell'azienda dei trasporti della Capitale, Manuel Fantasia, ha ritirato le deleghe del direttore generale.
Rota, che era stato scelto proprio dal sindaco Raggi per la sua opera di risamento dell'Atm (azienda dei trasporti milanese) ha dichiarato di aver inviato una lettera di dimissioni in data 21 luglio mentre l'azienda dei trasporti ha reso noto di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione di dimissioni, ma di essere arrivati alla richiesta di dimissioni dopo le dichiarazioni rilasciate dal Dg.
Facciamo un passo indietro. Nei giorni scorsi infatti Rota, in un'intervista in cui sottolineava le gravi condizioni in cui versa l'azienda dei trasporti capitolini, aveva lasciato poco spazio all'immaginazione, ma, al contempo, aveva sollevato il dubbio che quelle parole fossero quasi leggibili, come quelle di un dirigente ormai arreso. Ma Rota, a domanda specifica, aveva smentito di essere in procinto di dimettersi suscitando non pochi commenti del mondo politico capitolino.
Ad attaccare duramente il dirigente scelto dalla giunta cinquestelle, paradosso dei paradossi, era stato proprio il presidente della commissione Trasporti, Enrico Stefàno del M5s. Sul suo profilo Facebook aveva esortato l'ormai ex dg dell'Atac ad «aggredire i problemi» oltre che a «rimuovere i dirigenti responsabili di questo disastro».
Ed è qui che l'incendio è divampato. Rota ha risposto a Stefàno: «Più che di dirigenti da cacciare, lui e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti. Suggerisco a Stefàno, nel suo interesse, di lasciarmi in pace e di rispettare chi ha lavorato. Onestamente. Sempre i soliti».
In parole povere secondo Rota, Stefàno avrebbe chiesto di «agevolare» la carriera di alcuni soggetti all'interno di Atac. Non solo, sempre in risposta a Stefàno, Rota, aveva menzionato una società di bigliettazione a suo dire «cara» al presidente della commissione che avrebbe fatto più volte pressioni per far si che vi fossero degli incontri. Inevitabili le reazioni. Il Pd ha chiesto le dimissioni di Stefano: «È assolutamente inaccettabile apprendere che mentre l'azienda di trasporto pubblico comunale si dibatte tra difficoltà conclamate, anziché lavorare a soluzioni operative il vicepresidente dell'Assemblea capitolina si è prodigato nel chiedere promozioni per alcuni dipendenti e per favorire la società Conduent Italia che è specializzata in bigliettazioni».
Rota dunque, dopo aver sollevato il polverone, è fuori dai giochi mentre Stefàno diventa una «gatta da pelare» in più per i pentastellati. Una vicenda che è come una doccia fredda per il sindaco Raggi, doccia che però, causa emergenza idrica, è momentaneamente rinviata.
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