Aria di guerra tra Rai e governo, e Viale Mazzini affila le armi (legali). Dopo la sorpresina nella bozza di legge di Stabilità, con il prelievo statale del 5% del gettito da canone Rai, e il piano di forte riduzione dell'imposta destinata a finanziare il servizio pubblico (da 113,50 euro ad un minimo di 35 euro, ma estesa a tutte la famiglie italiane a prescindere dal possesso della tv) con conseguenti timori Rai di incassare meno di prima, ai piani alti della tv pubblica il clima torna a surriscaldarsi. Nel prossimo Cda, previsto per giovedì prossimo, arriverà una richiesta formale di mettere ai voti un ricorso contro il prelievo governativo ai danni delle casse Rai. Al momento si parla dei 150 milioni di euro di taglio forzato imposto dal governo, ma se il prelievo del 5% diventasse legge il problema potrebbe riproporsi (senza che sia ancora chiaro se i due prelievi si sommino, prospettiva drammatica per la Rai). I tempi sono stretti, perché se la Rai vuole agire legalmente, attraverso un ricorso di incostituzionalità, deve sbrigarsi, visto che il prelievo sarà operativo con la prossima rata di finanziamento dal Tesoro, a dicembre. Il capofila dei consiglieri decisi a dare battaglie è Antonio Verro, ma da rumors sulla stessa posizione critica verso la dieta imposta alla Rai dal premier Renzi ci sarebbero anche altri tre membri del Cda: Colombo, Rositani e De Laurentiis. Mentre decisamente contrari sarebbero la Todini e Pilati. Fondamentale diventerebbe dunque il voto della presidente Anna Maria Tarantola, finora molto prudente sul ricorso, ma sempre molto critica sulla richiesta governativa («I 150 milioni del taglio sono la metà del patrimonio netto della Rai, una enormità»). «Non è un atto ostile o polemico verso il governo - spiega Verro - ma un atto dovuto da chi amministra un'azienda pubblica e ha il dovere di fare l'impossibile per tutelarne il patrimonio».
Nelle ultime settimane la Rai ha raccolto pareri di diversi costituzionalisti, concordi sulla incostituzionalità del prelievo pubblico su una tassa di scopo (cioè: il canone serve a finanziare il servizio pubblico radiotv, e il governo se ne prende una fetta per finanziare, poniamo, i famosi 80 euro in busta paga). Così hanno garantito a Viale Mazzini i professori interpellati, da Michele Ainis a Alessandro Pace, opposto il parere invece di Enzo Cheli. Quanto al nuovo taglio previsto dalla Stabilità, la Rai aspetta di vedere, se diventerà legge e su che tipo di imposta si applicherà. Intanto l'assemblea dei giornalisti Rai è già sul piede di guerra «contro un atto con profili di illegittimità, che sarebbe riproposto nel nuovo provvedimento del governo nei confronti del canone».
Sul campo di battaglia ci sono anche oltre 2 miliardi di euro che la Rai vanta, come canoni non riscossi (evasi), nei confronti dello Stato. «La contabilità separata che dà conto del costo sostenuto dalla concessionaria (la Rai, ndr ) per la realizzazione dei compiti previsti dal contratto di servizio (costo che per legge va coperto dal canone) registra uno sbilancio a favore della Rai, a partire dal 2005, di oltre 2,3 miliardi di euro» ha detto la Tarantola l'altro giorno. Tecnicamente, però, è molto difficile che la Rai possa considerarli «crediti esigibili», che cioè possa ricorrere contro il Tesoro per farseli pagare. Però mai dire mai.
Anche perché le previsioni sul nuovo modello di «contributo» pubblico alla Rai, raccontato dal Giornale , non rassicurano molto Viale Mazzini, che teme un abbassamento notevole del gettito (anche se il ministero dello Sviluppo economico garantirebbe il contrario).
E, dopo la vendita di una quota di RaiWay e l'accorpamento delle redazioni (a cui si oppongono i giornalisti) in Rai non sanno più come fare cassa, visto che gli asset immobiliari, al momento, non si riescono a vendere se non svendendoli fino al 60%. Un risposta ce l'ha l'on. Michele Anzaldi (Pd), segretario della Vigilanza Rai: «Taglino gli sprechi, come RaiExpo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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