Alla Rai serve un dietologo, non un manager

L'unica azienda editoriale italiana che non ha ristrutturato un bel niente per adeguarsi al momento attuale

Alla Rai serve un dietologo, non un manager

La Rai è l'unica azienda editoriale italiana che non ha ristrutturato un bel niente per adeguarsi al momento attuale, caratterizzato da una crisi di cui si conosce l'inizio e non la fine. Tutte le antenne, tutti i giornali - quotidiani e periodici - hanno ridotto i costi fissi tranne il mastodonte di Stato che occupa 13mila persone (uno sproposito, un record mondiale), la maggioranza delle quali percepisce lo stipendio per fare cose ignote, probabilmente superflue. È un controsenso intollerabile se si considera che i buchi di bilancio vengono annualmente otturati con denaro pubblico.

Ecco perché lo chiamano servizio pubblico: lo paghiamo noi anche se lo gestiscono loro infischiandosene di servirci. Ma sorvoliamo su questo particolare non certo nuovo eppure sempre fastidioso da sopportare. Ha ragione Matteo Renzi quando dice che bisogna intervenire d'urgenza. Peccato che non dica come e per fare che. Siamo d'accordo: in viale Mazzini ci vuole uno che comandi, un amministratore delegato. S'impone però una domanda: il comandante unico deve agire in rappresentanza di chi?

In un'impresa normale il leader risponde al consiglio di amministrazione, emanazione della proprietà se non è addirittura la proprietà stessa. Nel caso della Rai, il capo immaginato dal premier a chi farà riferimento? Al premier medesimo o a uomini scelti dal governo? Se la soluzione immaginata fosse una di queste due, non sarebbe molto democratica e peggiorerebbe la situazione. Infatti, si passerebbe da un colosso dispendioso, lottizzato da decenni dai partiti, a un colosso delle stesse dimensioni legato a una persona sola, quella insaziabile seduta sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi ovvero - almeno per ora - il medesimo Renzi. Al quale mancano giusto la Rai e il Circo Togni per avere in mano le leve del potere, incluse quelle mediatiche. Va da sé che ciò non sarebbe accettabile.

Occorre anzitutto ridimensionare l'azienda: 15 reti sono troppe e 13mila dipendenti sono la prova che le assunzioni vengono da sempre affidate a dirigenti scriteriati, insensibili a qualsiasi logica di mercato. Per ottenere un risultato decente è indispensabile procedere alla privatizzazione dell'ente, visto che la denominazione «servizio pubblico» è stata nei fatti desemantizzata: in pratica, una presa in giro.

Evitiamo con cura di citare Mediaset per non offrire il destro a chi, quando non sa opporsi alle nostre argomentazioni, ci accusa di curare l'interesse di Silvio Berlusconi. Limitiamoci dunque a fare l'esempio di Sky: che ha un organico inferiore a un terzo di quello della Rai e un avanzo primario cospicuo, zero deficit.

È sufficiente questo dato per invocare un radicale cambiamento delle emittenti pubbliche? Se Renzi è intenzionato davvero ad attivarsi, auguriamoci che sia capace di realizzare una riforma migliore di quelle che hanno riguardato il Senato e le Province, che sono cadaveri ma costano come se fossero in vita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica