Il rapporto sul Russiagate agita Trump e scatena i dem

Il ministro della Giustizia Barr deve decidere quali atti mandare a Senato e Congresso. Scontro sul regolamento

Il rapporto sul Russiagate agita Trump e scatena i dem

Battaglia imminente tra i democratici e il ministro della Giustizia William Barr. Il tema il Russiagate che insegue come un'ombra Donald Trump fin dai giorni successivi alla sua elezione alla Casa Bianca è il solito, ma la contingenza temporale è speciale. Da due giorni, infatti, il rapporto che contiene le risultanze dell'inchiesta cruciale svolta dal super procuratore Robert Mueller è sul tavolo del ministro, ma non è stato ancora pubblicato. Questo perché da una parte c'è Barr, fedelissimo del presidente, che cerca di guadagnare tempo e in sostanza di evitare che il documento sia pubblicato in versione integrale; dall'altra ci sono i deputati del partito democratico, che pretendono una pubblicazione in tempi rapidi e senza tagli, e che sono pronti a usare tutte le armi a loro disposizione per ottenere ciò che vogliono.

Quasi 21 mesi dopo l'apertura dell'inchiesta, insomma, il braccio di ferro sulla scottante vicenda delle sospette interferenze del Cremlino nelle presidenziali americane del 2016 è ancora più che mai in corso. Lecito dunque domandarsi cosa potrà ora succedere. La battaglia ovviamente è di natura politica, con i democratici che accusano Trump di voler ostacolare il corso della giustizia e il presidente che grida alla caccia alle streghe ai suoi danni e accusa Mueller ormai prossimo a lasciare l'incarico che l'ha assorbito tanto a lungo - di volerlo comunque colpire per pregiudizio personale anche in mancanza di elementi a suo carico. Di fatto, però, le due parti si confrontano su aspetti formali, e in particolare su quanto stabilisce il regolamento dello speciale ufficio investigativo che si è occupato del presidente Trump. Il punto dirimente è questo: secondo il regolamento, Mueller è autorizzato a rendere note solo informazioni di pubblico interesse, e mentre i democratici affermano che questo criterio è valido per l'intero rapporto, da parte repubblicana non mancano riserve. Senza dimenticare che è dovere di Barr accertarsi che divulgando il documento in toto o in parte non vengano rese pubbliche informazioni che per legge dovrebbero invece rimanere segrete.

In realtà Barr, una volta ricevuto dal super procuratore il rapporto sulla sua inchiesta, si trova davvero davanti a un bivio. Perché se è vero che la legge lo obbliga a informare il Congresso dell'avvenuta ricezione, è altrettanto vero che non gli impone di informare i parlamentari, e tantomeno il pubblico, dei contenuti del documento. D'altra parte come ha sostenuto il Washington Post il regolamento neppure glielo vieta, e dunque non si comprende per quale ragione il ministro della Giustizia dovrebbe prendersi la responsabilità di occultare di fatto informazioni che l'opinione pubblica si aspetta di conoscere.

Ipocrisie a parte, è fin troppo evidente perché Barr potrebbe decidere di fare qualcosa del genere: è stato Trump a metterlo su quella poltrona a questo scopo e già ieri il ministro ha alluso significativamente all'intenzione di fornire notizie sulle «principali conclusioni» dell'inchiesta sul presidente.

Adesso il titolare della Giustizia si barcamenerà cercando di prendere entro oggi, ha fatto sapere una decisione sulla pubblicazione totale o parziale del rapporto solo dopo aver consultato il suo vice Rod Rosenstein e lo stesso procuratore Mueller. Ma i democratici non sono disposti ad accettare niente di meno di una pubblicazione integrale, e sono pronti ad avvalersi del diritto di chiamare a testimoniare al Congresso sia Barr sia Mueller.

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