Razzismo contro la "first family": la sinistra chic Usa dà il peggio di sé

Stilisti, artisti e perfino comuni passeggeri d'aereo fanno a gara nell'attuare un borioso boicottaggio verso "gli indecorosi Trump"

Razzismo contro la "first family": la sinistra chic Usa dà il peggio di sé

Radical chic, chi più chi meno. Maestri d'intolleranza, tutti quanti. Quando la competizione politica tracima nella crociata contro una persona, nell'insulto sfacciato, nella maleducazione esibita, persino l'élite progressista della Grande mela si rivela incredibilmente narrow minded, ottusa e gretta. L'ultimo episodio, in ordine di tempo, riguarda Ivanka Trump. La donna s'imbarca, con marito e figlio, su un volo low cost diretto da New York a San Francisco. Due passeggeri, infastiditi dalla sua presenza, danno in incandescenze, l'uno strepita: «Oh dio, che incubo!», l'altro protesta: «Rovinano il nostro paese, ora provano a rovinare il nostro viaggio!». Il clima si fa teso al punto che gli assistenti di volo intimano a uno dei due signori di abbandonare il velivolo. «La decisione di espellere un passeggero non è mai presa a cuor leggero spiegherà la compagnia Jet Blue . Il nostro team ha provveduto a reimbarcare il cliente sul volo successivo».

Non è la prima volta che un membro della famiglia Trump è bersaglio di scomposte invettive per il sol fatto di essere imparentato con il prossimo comandante in capo delle forze armate statunitensi. È successo sempre a Ivanka quando pochi giorni or sono è spuntato su Instagram un account denominato Halt Action Group, alimentato da artisti newyorkesi che chiedono alla first daughter, futura signora della Casa Bianca, di rimuovere le loro opere d'arte dalle pareti della sua magione. La campagna web, con 16mila follower, usa il nome e l'immagine della figlia per attaccare il padre. «Cara Ivanka si legge nell'accorato appello dobbiamo parlare di papà. Razzismo, antisemitismo, misoginia, omofobia non sono accettabili da nessuna parte, tantomeno alla Casa Bianca». «Ivanka ama l'arte ma l'arte non ama lei», ha scritto Bloomberg, e un tal amore non ricambiato si manifesta nelle foto casalinghe dove compaiono rinomati pezzi di design, dalle luci di Lindsey Adelman alle sedie vintage di Fernand Dresse. Come mecenate d'arte Ivanka andava bene quando era una businesswoman, adesso che prende familiarità con le stanze del potere politico la signora deve disfarsi delle opere regolarmente acquistate.

Intolleranti e ipocriti, i moderni soloni del politicamente corretto, dall'alto di una presunta superiorità morale, si rivelano incapaci di accettare la sconfitta politica e trasformano la crociata delle idee in una crociata personale. Protestano se la figlia sale sul medesimo volo low cost (l'avesse fatto Chelsea Clinton l'avrebbero esaltata in quanto modello di sobrietà). Ingiungono a Ivanka di rimuovere dalle pareti corruttrici le loro immacolate opere d'arte. Contro la moglie del presidente eletto, Melania, decisa a restare nell'attico dorato di Manhattan, una nutrita pattuglia di stilisti ha annunciato un autentico boicottaggio. «Non vogliamo avere alcun ruolo nella normalizzazione della famiglia Trump - spiega un editoriale sul sito Fashionista in particolare quando si tratta delle scelte di moda della first lady».

E dire che Melania è un'ex modella, a 46 anni ha un corpo statuario, qualunque casa di moda farebbe a gara per aggiudicarsi la cliente speciale, e invece la francese Sophie Theallet, per dirne una, infiamma i social annunciando che non vestirà mai Melania. Theallet è un'immigrata e non può accettare il razzismo del tycoon. Un dettaglio forse le sfugge: Melania, Cenerentola dei giorni nostri, è nata in Slovenia, non all'ombra della Torre Eiffel.

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