«Stallo». Due sedute plenarie, un paio di bozze di compromesso preparate dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e giudicate insufficienti, una serie di incontri ristretti, una girandola di bilaterali, colloqui informali, abboccamenti. Ma alle sei di sera Giuseppe Conte capisce che per l'Italia la trattativa sul Recovery Fund sta prendendo una brutta piega. Quindi si, «siamo in una fase di stallo», dice il premier in una diretta Facebook, l'aereo europeo sta prendendo quota. «Il negoziato si sta rivelando più complicato del previsto. Dobbiamo trovare una sintesi e convergere verso l'obbiettivo di approvare il programma di ripresa europea che riguarda tutti, non solo i più colpiti. Ci stiamo confrontando duramente con l'Olanda e altri Paesi frugali che non condividono la necessità di una risposta consistente per i sussidi e mettono in discussione parte dei prestiti». Il muro orange non si scalfisce. «Situazione complessa, sono tante le questioni che non riusciamo a sciogliere«. Allarme rosso, il fallimento è a un passo, unica alternativa un compromesso al ribasso: in entrambi i casi per il premier, al ritorno a Roma, saranno davvero guai seri.
Quanti soldi? Come? Quando? Con quali vincoli? Chi controllerà le procedure e le condizionalità, la Commissione, il Parlamento o gli Stati? E soprattutto, potrà un singolo governo bloccare il meccanismo di erogazione, fare le pulci ai piani di sviluppo nazionali? Per non parlare del bilancio dell'Unione e della concorrenza sleale dell'Olanda grazie alla sua fiscalità diversa. Tutte le domande restano aperte quando in serata il vertice riprende. Conte prova a segnare la sua «linea rossa», cioè «no ai veti» e «non consentiremo a nessuno di decidere la nostra politica economica». Quanto alle somme da stanziare che i frugali vogliono sforbiciare, «gli strumenti devono essere proporzionali alla crisi, la risposta collettiva, solida, robusta». È una frontiera che il presidente del Consiglio italiano non può - o non potrebbe - permettersi di abbandonare, visti la condizione finanziaria del Belpaese, gli impegni presi per decine e decine di miliardi con i decreti a raffica, la traballante instabilità del suo esecutivo.
A Roma infatti già si parla di governissimo, di Mario Draghi, di resa dei conti tra i Cinque Stelle, di Luigi Di Maio pronto a farlo fuori. E poi le regionali, la riapertura delle scuole, le famiglie in bolletta, le imprese che chiudono, le tensioni sociali. Si profila un autunno difficile. Se non porterà a casa il risultato o almeno un compromesso decente, se non riuscirà ad aprire una linea di accesso veloce e sicura al Recovery Fund, Conte sarà costretto a chiedere l'erogazione del Mes, 36 miliardi da usare per le spese sanitarie: ma i grillini ingoieranno anche l'odiato Salva Stati? In caso di fallimento, rischia di saltare il fragile equilibrio attuale e comincerà un'altra guerra, Renzi e Di Maio contro Conte e Zingaretti, L'esito è incerto.
Certo invece, secondo Matteo Salvini, il flop del premier. «Tante chiacchiere e fatti zero. Il vertice è diventato un disastro per l'Italia, si dimetta. Copi dai francesi, dagli spagnoli, da chi vuole, ma faccia qualcosa». Forza Italia, al contrario, spera che Conte ce la faccia. «Non possiamo certo augurarci - dice Anna Maria Bernini, presidente dei senatori azzurri - che l'Italia esca dal Consiglio Europeo con le ossa rotte.
Conte sta conducendo una battaglia giusta, come quella contro il dumping fiscale, ma con le carte sbagliate. Gliene mancano due, la forza di un mandato parlamentare e un credibile piano di riforme strutturali». Al suo fianco rimane Nicola Zingaretti: «Lui e i ministri stanno rappresentando l'Italia nel modo migliore».
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