«In un solo weekend di luglio, con 40 gradi, sono state raccolte più di 100mila firme. Da oggi è possibile firmare con calma e al fresco in tutti i comuni italiani e quindi l'obiettivo del milione di firme sarà ampiamente superato». A parlare è Matteo Salvini, da Pescara, dove i cittadini fanno la fila anche di lunedì in uno dei banchetti organizzati dalla Lega per la raccolta firme per i referendum sulla giustizia giusta. Bisogna arrivare a 500mila sottoscrizioni entro il 30 settembre, ma i promotori contano di superare il milione prima della fine dell'estate. «È un referendum non di partito, ma di giustizia - sottolinea Salvini - certezza della pena: chi sbaglia paga. Abbiamo visto giusto, la firma che avete messo o metterete è una firma rivoluzionaria, democratica, pacifica».
Come si evince dai numeri dei primi gazebo, il vento tira a favore della campagna referendaria promossa dalla strana coppia Lega-Radicali. A dimostrazione di come il tema sia in grado di raccogliere consensi trasversali. E l'unico che rischia di non capirlo è proprio il Pd. Tra i dem spuntano le prime crepe sui sei quesiti del referendum, nonostante le acrobazie linguistiche sfoderate dallo stato maggiore del partito per giustificare il mancato appoggio all'iniziativa. Il segretario Enrico Letta a giugno aveva detto che il referendum «è uno strumento di lotta politica, ma non va da nessuna parte». Negli stessi giorni lo sherpa Goffredo Bettini, con una lettera al Foglio, apriva invece all'ipotesi di considerare la campagna «con attenzione e coraggio». «I referendum possono essere certo uno strumento molto utile», smentiva il segretario l'ex capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci il 3 giugno. Per Matteo Renzi i referendum possono dare «una spinta decisiva» alla riforma Cartabia. In prima linea ai gazebo anche Roberto Giachetti, deputato renziano di scuola radicale. Il garantismo di massa può travolgere i dem come una piena, con il rischio che l'attuale gruppo dirigente resti isolato.
L'ennesima rappresentazione della miopia politica del Nazareno arriva dalle parole pronunciate sabato da Debora Serracchiani, capogruppo del Pd alla Camera, in un'intervista al Riformista. «Qui non serve a nulla dividersi per l'ennesima volta in garantisti e giustizialisti - spiegava Serracchiani - riconosco alcuni temi di merito dei quesiti, ma colgo tutta la strumentalità dell'iniziativa della Lega». Poi buttava la palla in tribuna, accusando Salvini di voler intralciare la riforma della giustizia della Guardasigilli Marta Cartabia. Ma il No del Pd è tutt'altro che granitico. Come raccontato ieri dal Giornale, tra le fila dei dem sta crescendo il fronte dei sindaci e degli amministratori locali pronti ad appoggiare le proposte del tandem Lega-Radicali.
Non solo. Si sta muovendo con uno schieramento eterogeneo anche il mondo della cultura e del giornalismo. Esemplare l'intervista rilasciata ieri a Libero da Paolo Mieli, editorialista del Corriere della Sera e due volte direttore del quotidiano di via Solferino. Mieli annuncia il suo sì ai referendum e smonta tutta la linea del Pd. «Senza la spinta dei quesiti referendari temo che il lavoro della Guardasigilli finisca nelle secche», spiega. Quindi il siluro al Nazareno: «Se l'avversario finisce nei guai giudiziari, il Pd fa festa e ci marcia sopra». Adesioni alla campagna da parte di altri volti noti non vicini al centrodestra come Gaia Tortora, figlia di Enzo e giornalista de La7, del conduttore di In Onda sulla stessa rete e de La Zanzara di Radio24 David Parenzo, di Giovanni Minoli, il vignettista Staino.
Ettore Maria Colombo, giornalista politico del Quotidiano Nazionale, motiva la sua scelta in una lettera inviata a IlGiornale.it. Colombo, elettore di sinistra, accusa gli eredi del Pci di aver voluto «approfittare del ciclone di Mani Pulite» solo per «un misero calcolo politico».
Individua nel libro intervista di Alessandro Sallusti con Luca Palamara un momento decisivo per fare aprire gli occhi a tutti sulle storture del sistema della giustizia. Infine ancora una critica alla linea ufficiale del Pd: «I sei referendum non cozzano con la riforma della Giustizia targata Marta Cartabia».
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