La retromarcia arriva all'ultimo comma dell'ultimo giorno utile, quando già il Consiglio superiore della magistratura si preparava - in un plenum straordinario fissato per domani - ad aprire la gara a centinaia di posti chiave della giustizia italiana. Invece Matteo Renzi cede in extremis alle pressioni delle toghe, e sarebbe interessante capire quanto abbiano pesato in questa resa (voluta dal capo del governo scavalcando il suo stesso ministero della Giustizia) le preoccupazioni per l'efficienza dei tribunali e quanto il quieto vivere con i magistrati. Sta di fatto che la rottamazione renziana per adesso si ferma sulla porta dei palazzi di giustizia. Restano al loro posto quasi tutti i capi dei grandi uffici giudiziari che il premier Renzi aveva deciso di mandare in pensione alla fine del prossimo dicembre: almeno un altro anno di lavoro per tutti, ma forse anche di più, perché nelle ore convulse del weekend sono arrivati segnali che fanno pensare a un ulteriore proroga dei pensionamenti. Insomma: dopo che il tanto propagandato taglio delle ferie dei giudici è di fatto abortito grazie a un provvidenziale errore di stesura, adesso anche sul secondo fronte dello scontro tra Renzi e le toghe il clima è tornato improvvisamente sereno.
Dall'agosto 2014, quando era stato varato il decreto col pensionamento forzato di tutti i giudici settantenni, nei corridoi dei tribunali e delle procure si respirava un curioso clima di depressione. Una generazione di magistrati arrivati al culmine della carriera si vedeva improvvisamente avviare verso la pensione, e il più massiccio turnover mai visto si preparava ad abbattersi sui posti guida degli uffici. Ripetutamente (e legittimamente) il Csm aveva denunciato la impossibilità di varare centinaia di nomine in così breve tempo e il rischio che uffici delicati si trovassero di conseguenza scoperti. Ma fino all'ultimo il ministero della Giustizia sembrava avviato a confermare l'esodo, il ministro Andrea Orlando faceva sapere che uno slittamento «non è in agenda» e il suo vice Enrico Costa, ancora più esplicito, invitava a resistere «alle spinte conservative, di interessi e di posizioni» e a «consentire ai giovani di potersi esprimere e di liberare energie». Tanto che il Csm si preparava nel plenum di domani a mettere a concorso centinaia di posti: tra cui, tanto per fare qualche esempio, quello del Procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, del procuratore di Milano Edmondo Bruti, del presidente della Corte d'appello di Milano Giovanni Canzio, tutti investiti dalla rottamazione.
Invece venerdì scorso, in coda a un decreto legge che parla di tutt'altro, appare un articolo che accoglie il grido di dolore delle toghe in grigio: i termini del pensionamento «sono differiti al 31 dicembre 2016 per i magistrati ordinari che non abbiano compiuto il settantaduesimo anno di età alla data del 31 dicembre 2015». La norma che appena un anno fa era stata varata in nome della «straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici» viene messa in freezer. Quando verrà davvero scongelata non si sa, perché è già all'opera il partito di chi vorrebbe rinviare di un altro anno l'esodo. Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia e leader di Magistratura Indipendente in una mail ai colleghi sabato scrive che il testo prevede la permanenza in servizio di ogni giudice «sino al 31 dicembre dell'anno in cui compirà 72 anni»: nel testo varato da Palazzo Chigi di questo allargamento non c'è traccia, ma non è detto che non riappaia in sede di conversione. E già in queste ore è attiva la caccia ai nomi degli ermellini che verrebbero ulteriormente miracolati da questa estensione.
Insomma, mentre milioni di italiani guardano con dolore il progressivo allontanarsi della pensione, i giudici combattono per restare al loro posto: e per adesso vincono. Anche se è difficile capire quanto sia spirito di servizio, e quanto umana difficoltà a mollare il potere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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