Roma - Giunto dove nessuno avrebbe mai pensato potesse arrivare, alla vigilia di Ferragosto Angelino Alfano ha lasciato questo monito ai suoi: «Ricordatevi che hanno bisogno dei nostri voti. Siamo decisivi in Sicilia, ma anche in Italia».
Come si comprende dal tono, si tratta di più d'un monito. È un manifesto politico e un calendario d'intenti, che comprenderà alla ripresa settembrina un «pacchetto completo», dal quale la legge elettorale da «armonizzare» (o riprendere in salsa tedesca) non è affatto esclusa. E se il leader di Forza Italia l'ha compreso per primo, Matteo Renzi sta cominciando a temerlo. Al punto da dare mandato al capogruppo Rosato (sì, quello dello sfiatato Rosatellum) di andare a vedere le carte. «È necessario e utile che si riprenda un dialogo che coinvolga i quattro partiti più grandi», ha dichiarato, precisando però che sia meglio discuterne a settembre, «per evitare di ammazzare la legge elettorale in un dibattito agostano». Rosato non esclude nessuno dall'accordo: i quattro grandi, «ma anche Ap e Mdp». Che l'affaire legge elettorale sia intimamente legato alle trattative siciliane, viene confermato dall'impazienza di Fabrizio Cicchitto che ieri invano sollecitava il segretario del Pd a esprimersi in una delle sue serate di Festa dell'Unità (bel coraggio parteciparvi, lui che l'ha chiusa). «Sembra che tutti siano presi dal fascino della soluzione spagnola - lamentava -, quella in cui non ci sono coalizioni, non ci sta maggioranza e o non c'è il governo o ce n'è uno appeso a un filo...».
Finora è stato così. Ma nel Pd si è ben capito che il leader sta facendo pretattica e il tema è tutt'altro che accantonato. Riguarda però troppo da vicino la «solitudine del Capo», come ha (ben) dimostrato l'appello caduto nel vuoto di Andrea Orlando a imbarcare tutti in una coalizione che vada da Bersani ad Alfano. Nulla di nuovo sotto il sole, sarebbe, se non aprisse una di quelle discussioni che Renzi ha scongiurato di non intavolare, perché peggiorano la situazione. In effetti, l'uscita aperturista di Orlando è stata capace di sollevare all'unisono tutti coloro che dovrebbero partecipare a Insieme (o come diavolo si chiamerà): il listone di Pisapia, Mdp e la Sinistra. Dai bersaniani, prima ancora che dagli altri, è arrivato l'altolà. «Alleanze innaturali con i centristi sarebbero uno straordinario regalo ai grillini», hanno detto uno dopo l'altro capi e capetti dell'accozzaglia. «Siamo incompatibili», ha spiegato Arturo Scotto. E il problema non è (solo) Alfano, bensì la discontinuità dal Pd di Renzi. «Non basta cambiare la legge elettorale per rifare il centrosinistra». Ecco tornare il tema di come si andrà a votare, indissolubilmente legato a come finiranno le elezioni in Sicilia. Tanto che fino a quella data, il 5 novembre, sembra persino difficile che si possano fare grandi passi in avanti in Parlamento. Motivo per il quale il silenzio di Renzi è più che motivato e difficilmente si schioderà fuori da generici apprezzamenti. In ballo ci sono equilibri assai instabili tra il Pd e gli altri partiti. Perché, come dice Pisapia, «Renzi ritiene che il Pd sia autosufficiente, ma è evidente che non rappresenta né la sinistra né l'intero centrosinistra». Così il modello Palermo tanto evocato pare già impallinato dal fuoco amico della sinistra, che con Scotto esclude di partecipare a «una coalizione il cui candidato viene deciso da Alfano».
Sarà per questo che non conosce soste la personale campagna
propagandistica del sottosegretario Faraone, sanculotto renziano, in Sicilia. Ieri ha informato che non si fermerà neanche per Ferragosto: «Si va casa per casa», fa sapere. Casomai ci fosse (ancora) qualcuno, basta non aprirgli.
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