Coronavirus

Regioni, rivolta fallita Gli indicatori restano 21

Regioni, rivolta fallita Gli indicatori restano 21

Fare presto. Anzi, di corsa: prima di venerdì e prima che altre regioni scivolino nella fossa rossa. La Conferenza delle Regioni presenta una sua proposta per rivedere l'algoritmo che regola la vita degli italiani. Scandita dai tre colori: giallo, arancione, rosso. I parametri sono troppi: da ventuno dovrebbero essere ridotti a cinque. Ma il semaforo di Speranza è rosso: non si cambia.

E però i governatori hanno le idee chiare e vorrebbero un incontro con l'esecutivo nelle prossime ore per trovare una soluzione adeguata.

«È necessario stabilire una sorta di tagliando per i parametri», sintetizza Luca Zaia. «Ho appena parlato con il ministro Speranza - fa sapere Giovanni Toti - e abbiamo concordato una riunione nelle prossime 48 ore per ragionare delle nostre proposte che sono di carattere tecnico e politico».

Il presidente della Liguria spiega nel dettaglio i suggerimenti che partono dalla periferia. Sul piano politico: «Chiediamo un confronto perché tutti noi conosciamo i dati, visto che li trasmettiamo al governo, ma nessuno conosce la ponderazione e l'esame di quei dati. Cioè, cosa pesa di più e cosa di meno e quali siano i giudizi per cui qualcuno di noi si ritrova in fascia Arancione e altri in fascia Gialla o Rossa».

Insomma, il famoso algoritmo sembra una formula misteriosa, scientifica e però per niente trasparente. Di più. «All'esecutivo - insiste Toti - abbiamo chiesto di condividere il processo decisionale e restringere il numero dei parametri, magari un indicatore più rozzo ma più rapido».

Tecnica e politica a braccetto piuttosto che un'apparente asetticità che pare lasciare spazio ad altre considerazioni. Per le Regioni, quindi, gli indicatori potrebbero stare sulle dita di una mano. I governatori punterebbero sulla percentuale di tamponi, poi sull'indicatore Rt che documenta l'andamento del contagio, e sull'occupazione dei posti di terapia intensiva e dei letti totali. Infine, «la possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena».

Speranza però non sembra convinto da questa analisi. E in sostanza risponde con un mezzo no, incartato nella buona educazione: «Il dialogo con le regioni è sempre aperto. I 21 parametri indicano l'indice di rischio insieme all'Rt e determinano quali misure attuare sul territorio». La collezione di dati non è dunque una collana che abbaglia ma una necessità per tenere sotto controllo l'epidemia arrivata dalla Cina. Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, corre in soccorso del ministro: «Il sistema dei 21 indicatori di rischio è molto articolato, richiede più indicatori per rappresentare nel migliore dei modi la realtà. È un sistema complesso per via della complessità della struttura della sanità italiana. Non è una pagella - aggiunge Brusaferro - ma ci accompagna nell'individuare il rischio che l'epidemia possa correre priva di controllo».

Brusaferro minimizza anche la presunta farraginosità del cruscotto, con una processione di cifre da mettere in colonna e fatalmente in ritardo. Non è così, o meglio: «Gli indicatori sono un mix di dati che possono essere forniti in maniera tempestiva e altri che richiedono un tempo necessario a raccogliere un insieme di informazioni raccolte a livello individuale. Ci sono dei tempi».

E pazienza se si va lunghi. Le argomentazioni cariche di riferimenti alle esigenze della medicina si sovrappongono ai criteri dei governatori che non vorrebbero essere sopraffatti da un flusso di numeri illeggibili. E pretendono voce in capitolo.

Ma l'impressione, e anche di più, è che il sistema non cambierà.

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