Nei corridoi del potere renziano non è più un sussurro. È un commento che si ripete ad alta voce, come una sentenza, come una bocciatura, come il mal di pancia del capo, che non nasconde e non simula, ma stradice: Antonio Campo Dall'Orto è ormai l'uomo sbagliato. «Il feeling si è rotto», ripetono. «Matteo è profondamente deluso», certificano. Peggio. È imbufalito, come accade quando pensa di aver commesso un errore strategico ma non ha il coraggio di assumersene la responsabilità. Perché il supermanager della Rai lo ha scelto lui, l'amministratore delegato della «reconquista», il genio che doveva svecchiare viale Mazzini, l'uomo che avrebbe spazzato via i partiti dalla televisione di Stato e aperto il futuro alla meritocrazia. Una Rai di uno solo che piace a tutti. La Rai del partito della nazione, dove nazione sta anche per nazionalpopolare, una sorta di Pippo Baudo 2.0, meno democrazia cristiana anni '80 e più Pd pop e smart. Insomma, la cultura alta e bassa miscelata insieme a misura di quarantenne. La ricetta però non ha funzionato. Quello che Renzi rimprovera a Campo Dall'Orto è di non averlo tenuto a riparo dalle polemiche. Ma soprattutto che la Rai renziana e piena di amici di Cdo assoldati all'esterno e a costi poco furbi, con il passo falso di doverli pagare con i soldi dei contribuenti racimolati con l'odiosa tassa del canone in bolletta. Non serve dire che Renzi dovrebbe essere deluso da se stesso, perché il manager ha in fondo eseguito gli ordini del politico. Non funziona così. I capi come Matteo quando sbagliano devono cercare un capro espiatorio, uno su cui sfogare la rabbia. Lo ha trovato, ma c'è un problema. Ora non sa come metterlo alla porta. La speranza sarebbero le dimissioni, ma ci vuole fegato per rinunciare a uno stipendio succoso. Rimuoverlo a questo punto sarebbe un pesante errore politico. E così a Renzi non resta che sbattere i pugni sulla figura di Dall'Orto e aspettare tempi migliori.
Nel frattempo si macera il fegato vedendo su quotidiani e social network la lista degli stipendi d'oro che rimbalza da una parte all'altra. Fanno discutere i 240mila euro l'anno di Francesco Merlo, pensionato da Repubblica e arrivato a Viale Mazzini per fare il consulente del direttore editoriale, con un contratto particolare: non si comprende bene la sua mission, in caso di errori non sono previste penali e non ha limiti di spesa per le trasferte. Il brutto della Rai renziana è che ha cancellato il lavoro della Rai precedente. I dirigenti che superavano i 240.000 euro erano 48 e con Gubitosi sono stati ridotti a 14. Con Maggioni e Dall'Orto si è tornati al passato remoto: i supercompensi sono 94. E anche questo il premier lo mette sul conto dei suoi ex fedelissimi.
Eppure lui, il Dg piovuto dalla Leopolda, anche ieri in commissione di Vigilanza ha difeso il «nuovo corso» dell'azienda di viale Mazzini. Stipendi compresi, a cominciare dal suo: «Io vengo dal settore privato - ha spiegato Campo Dall'Orto - nei miei lavori precedenti negoziavo lo stipendio, stavolta no, mi hanno detto quale era la cifra di prima e io ho detto perfetto». Anche perché nel frattempo il tetto di 240mila euro è saltato.
Il resto è affidato a un «percorso di autoregolamentazione», all'individuazione della «migliore collocazione possibile per le risorse interne», a «cambi di ruolo» o ipotetiche risoluzioni del contratto per i troppi ben pagati manager e giornalisti tenuti a scaldare le poltrone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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