Renzi minaccia i dissidenti «Nessuno mi può ricattare»

Gli oppositori: «Non ci svenderanno a Berlusconi». Ma il premier li gela: non siete partito nel partito. E attacca Cofferati: «In Europa coi voti Pd. Se uno perde non porta via il pallone»

Roma«Non mi faccio ricattare da chi, dentro Pd, gioca contro il Pd. Se non vogliono legge elettorale si assumano le loro responsabilità». E sul Quirinale, l'indicazione del partito sul nome da votare arriverà da subito. Perché, spiega in serata ospite a Rete 4 di Paolo Del Debbio a Quinta Colonna , «il capo dello Stato non lo decide uno solo, non parliamo del fantacalcio» ma «toccherà a noi fare la proposta perché è il partito più forte che deve incontrare tutti gli altri perché bisogna trovare un arbitro».

Matteo Renzi ha incontrato ieri mattina i senatori Dem per fare il punto sulla legge elettorale, con l'intenzione di non fare troppe concessioni alla minoranza Pd. E così è stato. Questa volta i numeri non erano così certi, ma riaprire il tavolo delle regole con la sinistra Pd avrebbe riaperto tutti i fronti politici, in primo luogo quello per la scelta del successore di Giorgio Napolitano. Alle minacce del senatore Miguel Gotor, che dice che 30 senatori voteranno un emendamento non gradito all'Italicum e che definisce la trattativa con Berlusconi sul Quirinale «una svendita», Renzi ha risposto con il «no ai ricatti», con un «Caro Gotor, non si può usare un gruppo minoritario come un partito nel partito» e con un auspicio che assomiglia molto a un ordine di scuderia: «La seconda lettura della legge elettorale in Senato dovrebbe essere quella definitiva». Ci sono ragioni di merito, che riguardano l'Italicum. È la legge elettorale «più vicina al sindaco d'Italia, come avevamo promesso alle primarie». In linea con la scelta maggioritaria fatta dagli italiani a partire dagli anni Novanta. «Basta consociativismo ex post: chi vince governa, con premio di maggioranza e ballottaggio». La legge è «un passaggio chiave per uscire dalla palude», ha spiegato. Il testo è chiuso, o quasi. «Non ci sono spazi per soluzioni alternative rispetto alla legge che vi ho proposto, ma possiamo prenderci ancora qualche ora alla ricerca di soluzioni tecniche» su temi su cui c'è divisione come quello delle liste bloccate. Al massimo 48 ore per modifiche di dettaglio, insomma. Ma di rimettere tutto in discussione non se ne parla. «Sia chiaro: io cerco accordi con tutti fino all'ultimo ma non sono sotto ricatto di nessuno». Gli emendamenti alle nuove regole elettorali sono anche una prova generale per l'elezione del capo dello Stato.

Il premier e segretario Pd ieri non si è esposto, ma ha fatto capire che giocherà il più possibile a carte scoperte. «In questa settimana e nella prossima si incontreranno tutti gli altri partiti» in vista del voto. «Farò una proposta» di candidatura «all'assemblea dei grandi elettori, mercoledì o giovedì, prima dell'inizio delle votazioni». Intenzione confermata dalla minoranza interna. Pippo Civati (che sulla partita del Quirinale deciderà se restare nel Pd) ha riferito che Renzi comunicherà un nome fin dalla prima votazione. Renzi e i senatori Pd non hanno parlato del caso Cofferati, dei movimenti della minoranza. Ma in serata in tv, su Cofferati «in Europa coi voti del Pd» il premier non è stato tenero: «Se aveva problemi coi valori poteva dirlo prima. Non è che se uno perde se ne va via col pallone. Non condivido il modo in cui esce, e trovo spiacevole che si cerchi di buttare all'aria il metodo delle primarie».

Ma le sfide della sinistra interna al leader non si fermano qui.

Un assaggio c'è stato quando il premier ha annunciato ai senatori che oggi ci sarà l'approvazione del cosiddetto investment compact . Contro, oltre alle opposizioni, anche Stefano Fassina, ex viceministro dell'Economia ed esponente della minoranza, che non getta la spugna.

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