
Roma - Renzi indossa la sahariana e lancia la campagna d'Africa. Non c'è solo «Ippocrate», l'operazione in Libia, dietro le parole di ieri del premier italiano all'Onu, ma un piano politico per l'Africa che ha due obiettivi: cercare sbocchi per le nostre aziende nel «continente nero» e tentare di imbrigliare l'ondata migratoria. A New York, a margine dell'Assemblea Onu e prima di entrare nella sessione dedicata alla questione migranti, il premier si è di nuovo lamentato dell'assenza dell'Europa su questi temi: «Per noi è fondamentale gestire la questione africana -ha insistito- A Bratislava siamo arrivati a un documento in cui di Africa non c'era neppure il nome. La mia impressione è che se l'Europa continua così dovremmo organizzarci da soli».
Ancora toni forti, dunque, dopo la conferenza stampa post summit di Bratislava, tutta contro Merkel e Hollande. L'obiettivo del premier in realtà è soprattutto interno: i sindaci, compresi quelli di centrosinistra, sono sempre più preoccupati dagli sbarchi dall'Africa e soprattutto dall'aumento di profughi da ospitare. Renzi, viste le batoste elettorali della Merkel, sa che la questione può diventare un problema anche per lui. «Vogliamo salvare tutte le persone -spiega- ma è ovvio che l'Italia non può prenderli tutti». «Il problema non sono i numeri -aggiusta poi il tiro- O si interviene per tempo in Africa o in futuro non riusciremo a gestire questo problema». Renzi fa riferimento anche al piano d'azione per l'Africa che l'Unione europea discusse in un vertice a Malta a novembre 2015, un progetto firmato insieme ad alcuni leader africani che prevedeva la loro collaborazione per i rimpatri in cambio di aiuti allo sviluppo. «L'appuntamento alla Valletta per il piano Africa -dice - è stato cancellato dall'irruzione dell'accordo con la Turchia. Mi chiedo se siano accordi soltanto messi lì e scritti con l'inchiostro simpatico oppure no». In realtà, già in quell'occasione fu chiaro che i vertici europei erano più interessati a blindare la rotta migratoria da est, quella turca, che punta verso la Germania. Il vertice si concluse con la decisione di stanziare 2,5 miliardi di euro (in seguito aumentati a 6), mentre per migliorare la cooperazione in Africa si mise insieme la miseria di 78 milioni. Tra l'altro l'Italia accettò di contribuire all'accordo turco con 281 milioni, quando era già chiaro che l'intesa con Ankara interessava soprattutto Berlino. Ora a Renzi non resta che alzare i toni: «Sull'immigrazione bisogna intervenire in Africa come l'Italia ha proposto, illustrato, spiegato nel dettaglio. Non si possono piangere calde lacrime quando un barcone affonda o viceversa chiudere le frontiere quando la gente scappa da fame o guerra. Bisogna intervenire a monte. Per il momento abbiamo visto tante interviste e pochi fatti concreti». Ma è tutta scena, visto che Renzi non ha leve su cui agire: la rotta turca è chiusa, gli immigrati in Italia vengono identificati negli hotspot e fermati alle Alpi, come volevano i governi del Nord Europa. E Renzi deve pure mendicare a Bruxelles flessibilità sui conti.
Alla fine, dunque, le minacce di «far da sé» si tradurranno nel tentativo di stringere accordi con i governi africani dei Paesi da cui partono i migranti (a febbraio Renzi ha visitato Nigeria, Ghana e Senegal, portando con sé le imprese disposte a investire), ma dovrà vedersela con Parigi e Londra, che hanno i loro interessi in Africa. In Libia l'Italia offrirà il proprio know how agli alleati, ieri Renzi ha incontrato per questo il segretario di Stato Usa John Kerry.
Ma nella sua maggioranza non c'è consenso su un impegno militare più consistente per stabilizzare la Libia. Obiettivo lontano, necessario per il passo successivo. resuscitare l'accordo anti migranti che Berlusconi strinse con Gheddafi.