Renzi, Prodi, Gentiloni. La vecchia Margherita mette sotto scacco il Pd

A dettare la linea sono ex dc e laici vicini a Mattarella. Mannino: gente brava a trattare

Renzi, Prodi, Gentiloni. La vecchia Margherita mette sotto scacco il Pd

Sono così vicini a Dio da rimanere ancora i più abili a trattare con il Diavolo. E infatti, continuano a trattare malgrado Luigi Di Maio voglia alzare la posta e nonostante le obiezioni di Carlo Calenda, un po' fuori e un po' dentro il Pd, che giustamente si chiede: «Quanti schiaffi dovete prendere dal M5s prima che vi torni la voglia di combattere? Nicola Zingaretti ripensaci. Come si dice a Roma: apriamoli come le cozze».

Matteo Renzi fino a ieri si è intestato l'operazione. Dario Franceschini ha preso il pallino della trattativa mentre a tenere i contatti con il Quirinale è Paolo Gentiloni, il più ascoltato da Sergio Mattarella che, alla fine, deciderà per tutti quanti. Sarà (ma chi può dirlo ancora) il primo governo più a sinistra di sempre, ma è ancora una volta un governo ispirato dalla sinistra Dc. La storia aveva mandato i suoi uomini in soffitta, ma la crisi li ha richiamati in servizio. All'origine appartenevano alla corrente minoritaria del Pd, ma in un mese hanno scalato il partito e sono i protagonisti della più spericolata e spregiudicata trattativa dai tempi di Agostino Depretis. Prendete Romano Prodi. Lo avevamo lasciato in Cina a spiegare l'economia in mandarino, ma due giorni fa era a Ravenna, alla festa dell'Unità, impegnato a rassicurare gli iscritti. Da uomo di «sacre scritture», per favorire la nascita del Conte Due, ha perfino assolto il M5s perché «il governo gialloverde è un esperimento mal riuscito ma è meglio un peccatore pentito che mille giusti che vanno in paradiso». A Renzi per salirci, anzi, per tornarci, è bastato un pomeriggio al Senato dove è riuscito a dimenticare anni di insolenze da parte del M5s, ma a ricordare, a Zingaretti, che nel Pd rimane ancora lui l'altro segretario. Cresciuto nel Ppi, transitato nella Margherita, ieri ha rilasciato un'intervista al Messaggero da padre nobile o forse di nobile cattiveria dato che, secondo Calenda, «tutti sanno che a ottobre formerà i suoi gruppi parlamentari. Farà cadere il governo e proverà a riprendersi il Pd». La verità? «Siamo di fronte a uomini di mestiere, assuefatti a trattare» dice l'ex ministro Dc, Calogero Mannino, che spiega così le ragioni della loro nuova egemonia. Ma non erano scomparsi tutti?

Uscito dalle cronache, ma entrato nel dibattito social, dopo anni di silenzio è riapparso Pierluigi Castagnetti. Nelle ore in cui Zingaretti manteneva il veto su Conte, Castagnetti è intervenuto con un tweet salutato nel Pd come una rivelazione dello spirito: «Nel 1976 Berlinguer (che avrebbe preferito Moro) accettò Andreotti, perché riteneva che sono i programmi e non le persone il terreno e lo strumento della discontinuità». L'unica cosa certa è che Zingaretti ha accettato di consegnarsi nelle mani di Franceschini, uno che senza soluzione di continuità è passato dal chiacchierare con Beniamino Zaccagnini a sedersi al tavolo di Vincenzo Spadafora. C'è lui dietro la prima cena organizzata a casa dell'ex sottosegretario alle Pari opportunità che ha permesso a Di Maio e Zingaretti di guardarsi negli occhi. Sarà forse vicepremier, forse ministro, ma al momento, per scongiurare la rottura clamorosa con Di Maio, è stato prontamente spedito a Palazzo Chigi per chiedere spiegazioni a Conte. Insomma, o sono i più bravi o sono i più cinici. «Sono uomini freddi, disincantati come quei cattolici che si emendano del peccato pur sapendo che il peccato rimarrà.

Per loro niente è impedito e niente è proibito» pensa ancora Mannino che, per non sbagliare, consegna ogni cosa a Mattarella, ultimo dei grandi democristiani di sinistra o forse, a questo punto, solo un insuperabile maestro di pazienza.

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