Report attacca l'Antimafia. Il giallo sulla foto col Duce

Nel mirino la Colosimo per uno scatto di dieci anni fa. Fonte? La regina delle fake news. Il fango sul Garante

Report attacca l'Antimafia. Il giallo sulla foto col Duce
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Vietato disturbare Report. Nella puntata di ieri sera Sigfrido Ranucci spara contro quei cattivoni del Garante della Privacy che hanno osato sanzionare la trasmissione, in primis il solito "nemico" Agostino Ghiglia (il cui voto era ininfluente) ma soprattutto contro la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo, tirando fuori messaggini privati e un rapporto con lo zio morto da anni, persino una foto sulla cui autenticità è lecito dubitare.

Nell'intervista alla parlamentare Fdi viene mostrata una foto di lei con Pamela Perricciolo, sedicente manager dello spettacolo diventata famosa per le fake news social, su tutte il matrimonio mancato tra Pamela Prati e il presunto spasimante Mark Caltagirone. Dalla pagina Facebook della Perricciolo sarebbe spuntata una foto delle due datata 2015 davanti a una statuetta di Benito Mussolini. Foto che nell'intervista dell'inviato di Report la Colosimo stenta a riconoscere, se è vera "ho fatto una stronzata", ha ammesso lei. Anche la Perricciolo che l'ha pubblicata balbetta, "non so dove abbiamo fatto 'sta foto".

Visti i precedenti, sulla sua autenticità - rivelata da una fonte anonima - resta il giallo. Sporcare la credibilità del presidente dell'Antimafia è un mezzo regalo ai boss. Tanto più che in passato la manager trash, la sua socia Eliana Michelazzo e i suoi complici avrebbero orchestrato diverse situazioni compromettenti - compreso lo sfruttamento di un bambino, spacciato per Sebastian Caltagirone, figlio di Mark - avevano dato conto Fatto quotidiano e Dagospia: la Perricciolo avrebbe spillato 1.600 euro alla Colosimo inventandosi un altro personaggio. Ma un teste anonimo mette in mezzo lo zio come paciere tra le donne. Alla faccia dell'affidabilità della fonte di Report.

Il contenuto dello "scoop" sul Garante della Privacy è invece già stato cannibalizzato dai soliti giornali amici, Fatto e Corriere della Sera. Si parla di un possibile danno erariale per la mini sanzione a Meta sugli smart glasses: tutto ruota intorno a uno scambio di sms e e-mail tra gli uffici del Garante e una dei commissari - la vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni - contraria ad abbassare la sanzione da 44 milioni al colosso Usa a 1 milione, poi prescritta: "Sono soldi che non entrano nelle casse dello Stato, qui ci possono essere anche altri profili di responsabilità", scrive il commissario in un messaggio che Report ha avuto.

Lo sconto, ipotizza Ranucci, sarebbe avvenuto dopo un incontro tra Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia. "Insinuare malevolmente che io abbia avuto un qualsivoglia ruolo è una pura forzatura con intenti diffamatori", scrive il commissario al Giornale. Da quando l'audio del caso Sangiuliano-Boccia è finito all'Autorità, si può dire che la trasmissione si sia mossa per minarne la credibilità, ravanando nel passato e nella corrispondenza dei componenti. Stesso dicasi per l'Antimafia, "colpevole" di voler riscrivere la storia delle inchieste antimafia che anziché portare a casa la verità hanno inseguito fantasmi e suggestioni, come la fantomatica pista nera dietro le stragi di Capaci e Via d'Amelio. Una rilettura che il pm Nino Di Matteo - quello che si è bevuto le panzane del finto pentito Vincenzo Scarantino - citato da Report definisce un "depistaggio istituzionale". Peccato per lui che mezza Procura di Palermo di allora sia finita nel fango - da Giuseppe Pignatone a Gioacchino Natoli - per presunto favoreggiamento ai boss dopo la frettolosa archiviazione del dossier mafia-appalti. La sinistra e Report sono indignate perché la Colosimo vuole escludere per conflitto d'interesse" dall'organo parlamentare Federico De Raho (sfiorato dai dossieraggi dell'ufficiale Gdf Pasquale Striano) e Roberto Scarpinato, pizzicato al telefono con Natoli. È lo stesso senatore M5s che avrebbe invitato Ranucci a collegare la bomba di Pomezia del 16 ottobre scorso con il presunto pedinamento che i servizi segreti avrebbero orchestrato su ordine del sottosegretario Fdi Giovanbattista Fazzolari.

E così la crocifigge per un inesistente "conflitto d'interessi" solo perché ha smontato certi sistemi criminali. Infangare l'Antimafia è un boomerang per il sedicente giornalismo militante, ostaggio delle lusinghe dei pm in cambio di veline e veleni. Alla faccia della verità.

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