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"Resta il pericolo di fuga" ma i tre possono già uscire

Per Nerini, Tadini e Pericchio "pene elevatissime" "Il by-pass delle anomalie durava dal 26 aprile"

"Resta il pericolo di fuga" ma i tre possono già uscire

Tre interrogatori, una sfilza di domande un po' uguali e un po' diverse, ma a incombere su tutte un solo, enorme interrogativo: cosa vi è saltato in mente? Come avete potuto considerare un rischio accettabile fare viaggiare la funivia col freno disattivato, sapendo bene che un possibile incidente sarebbe divenuto una tragedia? È questa la vera domanda che domani attende Gigi Nerini, Gabriele Tadini e Enrico Pericchio, i tre indagati per la strage del Mottarone, nel loro primo interrogatorio in stato di arresto. Davanti avranno il giudice preliminare Donatella Banci Bonamici, che dovrà decidere se convalidare il fermo eseguito la notte di martedì dalla Procura. Non sarà una decisione scontata, i tre sono stati arrestati per pericolo di fuga nonostante si fossero presentati spontaneamente in caserma. E dunque potrebbero, senza che la cosa debba scandalizzare troppo, anche tornare a piede libero. D'altronde lo stesso decreto di fermo spiccato dalla Procura documenta quanti passi avanti abbiano ormai compiuto le indagini. Ormai sul primo tema d'inchiesta, il mancato funzionamento del freno, il giallo è risolto. Sono stati loro tre, tutti d'accordo, a escogitare il sistema per evitare che la funivia chiudesse nel momento di massimo guadagno. L'idea parte da Tadini, per «ovviare ai problemi da tempo manifestatisi al regolare funzionamento del sistema frenante; condotta di cui erano stati ripetutamente informati tanto il Perocchi quanto il Nerini, che avallavano tale scelta».

Non erano i soli a sapere, come era facilmente intuibile, e come conferma ieri il capitano dei carabinieri Luca Geminale: «Questo sistema di bypass delle anomalie all'impianto frenante durava dal 26 aprile: quindi un'intera squadra di operai ha fatto funzionare la funivia con questo bypass. Quanti sono e chi sono? Difficile dirlo, ma di certo non è un sistema che si può far funzionare con una persona sola».

Altri indagati in arrivo, forse: ma è chiaro che la responsabilità principale pesa sui tre arrestati, che per la procura sono destinati in caso di condanna a una «pena elevatissima». Ma intanto ci sono ancora molte cose da capire. Perché anche la spiegazione immediata, la cinica ricerca del profitto, non basta a capire tutto quanto accaduto nelle settimane precedenti la tragedia. Secondo il decreto di fermo, «i tre non si attivavano per consentire i necessari interventi di manutenzione che avrebbero richiesto il temporaneo fermo dell'impianto». In realtà, un intervento avviene: il 30 aprile, quattro giorni dopo che - secondo la ricostruzione dei carabinieri - Tadini e gli altri hanno piazzato i forchettoni sulle cabine per disattivare i freni che scattavano senza motivo. Lo riferisce ieri la Leitner, la grande azienda di Vipiteno che ha l'appalto per la manutenzione, spiegando che il 30 aprile è tutto ok, vengono fatte tutte le verifiche, «senza riscontrare problemi» e procedendo «alla ricarica degli accumulatori delle centraline idrauliche che azionano i freni sulla fune portante». Ma il forchettone rimane lì, come se lo avessero dimenticato senza rimuoverlo. Perché, se non ci sono anomalie? Di sicuro c'è che dopo il 30 alla Leitner nessuno da Stresa chiede più niente: «Non sono arrivate altre richieste d'intervento e segnalazioni in merito a malfunzionamenti dell'impianto frenante».

E intanto le cabine continuano a andare su e giù dal Mottarone, fino a domenica scorsa.

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