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"Restiamo tra i migliori d'Europa. Ma ora Francoforte si deve fermare"

"La crescita tendenziale italiana di qui a fine anno è ai vertici. E segnali positivi arrivano dallo spread, dai prezzi e dalle banche"

"Restiamo tra i migliori d'Europa. Ma ora Francoforte si deve fermare"

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Pil italiano negativo dello 0,3% nel secondo trimestre. Vittorio De Pedys, professore alla Escp Business School di Parigi: se l'aspettava?

«No, ma ci sta. L'aumento dei tassi d'interesse vale per sia per l'America, sia per l'Europa, ma non colpisce tutti in maniera uguale. L'Italia ha una maggiore esposizione ai tassi più alti per due motivi. Il primo è l'effetto spiazzamento delle risorse a fini improduttivi, perché una parte maggiore di ricchezza va a pagare gli interessi più alti del debito pubblico, di cui oltre la metà non è in mani italiane. La seconda è che il debito privato, di famiglie e imprese, è in gran parte finanziato a tassi variabili, che così assorbono maggiori risorse anche da questo lato».

Nessuna sorpresa allora.

«Mi sorprende il calo di agricoltura e manifattura. Può essere un segnale preoccupante. Lo vedremo con le prossime rilevazioni».

Pensavamo di essere migliori di Francia e Germania, invece siamo andati peggio.

«Attenzione a non dare troppo peso a un dato congiunturale. Il Pil tendenziale per il 2023 è allo 0,8%, molto vicino allo 0,9% previsto dal governo. Significa che, anche includendo questa frenata e ipotizzando i prossimi due trimestri di crescita zero, il 2023 è comunque migliore dei dati tendenziali di Germania e Francia. E questo senza calcolare l'impatto estivo del turismo sul terzo trimestre, che sarà molto positivo».

Resta la battuta d'arresto.

«Bisognerà vedere, con il prossimo dato di ottobre, se questo è solo un incidente di percorso. Ma nel frattempo vedo almeno altri tre elementi positivi: lo spread sotto controllo; il calo dell'inflazione; e le banche italiane: sempre considerate un problema, sono uscite a pieni voti dagli stress test, a volte anche esagerati, applicati dell'Eba».

Parliamo di Bce e tassi: nove rialzi in un anno. I banchieri centrali fanno il loro mestiere ma lo stanno facendo bene?

«Sono d'accordo che il mestiere della Bce è la stabilità dei prezzi e non la crescita, mentre la Fed ha doppio mandato. Dopodiché quando l'inflazione è partita non se ne sono accorti. Sono economisti tra i più qualificati: come è possibile che abbiano iniziato ad alzare i tassi con un anno di ritardo e poi con una progressione verticale. Su modi e tempi dell'azione della Bce sono critico».

Quindi è tra quelli che fermerebbe qui la salita dei tassi?

«Io mi sarei fermato prima. Anche perché l'inflazione, in America come in Europa ha dei limiti nella sua discesa che non dipendono da domanda e offerta o dai tassi. Non si può pensare di tornare naturalmente verso il 2%: i postumi dell'enorme immissione di liquidità e dell'allentamento fiscale seguito al covid ci metteranno anni a essere riassorbiti.

Cosa deve fare ora la Bce?

«Stare ferma e aspettare. Anche perché non ci sono solo i tassi. Per esempio, la Bce ha smesso di remunerare le riserve bancarie, che è un'altra forte restrizione. E lasciare il tasso di riferimento al 4,25% è già di per sé una scelta restrittiva, che esercita i suoi effetti nel tempo».

Crede che la Bce sia condizionata dalla Germania?

«L'economia tedesca, per molti versi, è messa peggio della nostra. Ma la Bundesbank ragiona a modo suo, del tutto indipendente dal governo.

E credo che abbiano come obiettivo quello di essere rassicurati sulla mutualizzazione del debito e sull'ancoraggio al patto di stabilità».

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