Il bastone e la carota. L'operazione immagine del regime saudita prosegue lungo la linea delle aperture con cui la casa reale tenta di rifarsi il look, mentre nel frattempo continua inflessibile ad applicare i metodi di una monarchia spietata, che nel 2017 ha già eseguito cento condanne a morte, decine delle quali per decapitazione (dati Amnesty International Italia). Dopo la svolta storica con cui, meno di tre mesi fa, ha annunciato che concederà alle donne il permesso di guidare l'automobile, ora da Riad arriva un'altra (parziale) rivoluzione che mette fine a 35 anni di buio culturale. Sull'onda delle riforme sociali, su cui spinge l'acceleratore il principe ereditario Mohammed bin Salman, è scattata la risoluzione che apre la strada alla concessione di licenze per i cinema commerciali. Nel Paese in cui sono vietati i partiti politici, i sindacati, i raduni pubblici (comprese le manifestazioni pacifiche), nel Paese che ancora tiene in carcere Raif Badawi (condannato a mille colpi di frusta e 250mila euro di multa per un blog in cui elogiava i valori liberali e dibatteva di temi politici e religiosi) il regime decide di usare - ma soprattutto di mostrare al mondo - anche la carota, l'altra faccia della sua spietata autorità.
Secondo fonti governative, i primi cinema saranno aperti dal marzo del prossimo anno. Sarà in primavera che il grande schermo tornerà a far parte del quotidiano dei sauditi, anche se in molti ancora faticano a credere che il provvedimento diventerà realtà. Mentre altri, sul web, ironizzano sul nuovo corso: «Non aspettatevi di vedere al cinema Thelma e Louise o Brokeback Mountain».
«Lo sentivamo da anni e tutti dicevano che sarebbe successo presto. Ma non sarò in grado di crederlo fino a quando non lo vedrò», commenta l'attore saudita Hisham Fageeh, la star del film Barakah Meets Barakah, che Riad ha candidato agli Oscar del 2017 come miglior film in lingua straniera. «È come se fossimo passati attraverso l'apocalisse, alla quale siamo sopravvissuti. Inizia una nuova civilizzazione».
I cinema vennero chiusi nel regno negli anni Ottanta. Ora invece la dichiarazione del ministro della Cultura e dell'Informazione Awwad bin Saleh Alawwad, che risponde alla linea promossa dal regime con Visione 2030, il progetto di riforme voluto dal principe bin Salman per aprire il Paese agli investimenti stranieri. Tra le mosse annunciate anche l'apertura, sempre dal prossimo anno, degli stadi alle donne. È l'imponente operazione con cui Riad prova a cambiare marcia, consapevole di quanto l'immagine internazionale del Paese sia compromessa agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. Tutto il contrario di quanto accade invece nelle cancellerie occidentali, con i capi di Stato e di governo - ultimo il presidente francese Emmanuel Macron - che non perdono occasione di visitare i membri della Casa reale saudita, non a caso artefice della trasformazione del Paese nel primo acquirente di armi al mondo e nel primo estrattore ed esportatore di petrolio.
Quante chance di successo avrà il nuovo piano del principe ereditario è ancora difficile a dirsi.
A remare contro sono i religiosi ultraconservatori che non perdono occasione di puntare il dito contro la musica, i concerti e le pellicole fonte di «depravazione». È il wahabismo, l'interpretazione più rigida ed estrema dell'islam, che è legge di Stato. Non un fil, ma realtà per l'Arabia saudita.
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