Coronavirus

Riapre l'ospedale di Codogno. E subito c'è il "giallo" del test

Dopo 3 mesi di chiusura via al Pronto soccorso. Falso allarme sul "primo sospetto caso positivo" della Fase 3

Medici in corsia contro il Covid (La Presse)
Medici in corsia contro il Covid (La Presse)

Camice sterile, occhiali, mascherina, guanti. Il medico guarda lo smartphone e legge il messaggio: «h. 11.35, primo paziente inviato dal 118». Poi alza gli occhi ed esclama: «Si ricomincia!». Benvenuti al pronto soccorso dell'ospedale di Codogno (Lodi). Dove tutto ebbe inizio. E dove tutto - speriamo - possa trovare la sua fine.

«Da qui riparte l'Italia del coraggio», aveva detto l'altroieri il presidente Mattarella, in visita per scacciare l'«incubo-Mattia» che in quella dannata notte del 20 febbraio scorso avrebbe cominciato a togliere il sonno a un intero Paese. Da allora tre mesi drammatici. Per l'Italia, ma soprattutto per la Lombardia. Ieri, dopo oltre 100 giorni di chiusura, ha riaperto il pronto soccorso dell'ospedale-simbolo del contagio. Un evento dal grande valore simbolo. Ma la realtà del covid sa essere più forte di ogni celebrazione, così il coronavirus ci ha subito riportato con i piedi per terra.

Neanche il tempo di tagliare idealmente il nastro di inaugurazione della Fase 3, ed ecco arrivare l'annuncio di Stefano Paglia, primario del pronto soccorso: «Abbiamo registrato un sospetto caso positivo, oltre a quello già acclarato di una donna ricoverata da noi per una trasfusione e proveniente da una rsa».

Immediato il tampone sul nuovo paziente; in meno di 45 minuti, il risultato. Dall'esito che però è diventato un giallo: test «positivo» o «negativo»? In un primo tempo sembrava «positivo», poi la precisazione dell'ospedale: «È negativo».

Visto l'esito «contraddittorio» del test, l'uomo è stato comunque «instradato» su un «percorso dedicato» che lo ha isolato momentaneamente dagli altri malati.

Alla riapertura erano presenti oltre ai vertici della Asst di Lodi e ai dirigenti medici, anche Francesco Passerini, il sindaco del comune del Lodigiano, uno dei 10 compresi nella prima, storica, «zona rossa». Brutti ricordi. Ora si guarda al futuro. Ma non senza apprensione: alle 11 giunge in ambulanza un'anziana, «positiva conclamata al coronavirus»; pochi minuti dopo è la volta del «caso sospetto», rivelatosi fortunatamente un falso allarme.

La giornata è proseguita all'insegna dell'«ordinaria amministrazione» in un clima di «ritrovata sicurezza». I vertici ospedalieri elencano soddisfatti: «Termoscanner all'entrata, triage, due percorsi distinti, astanterie con letti distanziati per ospitare 23 pazienti, zone filtro, una shock-room, 4 letti di terapia intensiva super attrezzati con ventilatori di ultima generazione».

«Stiamo lavorando anche alla redazione di protocolli clinici e assistenziali unici - spiega Enrico Storti, primario della Asst di Lodi -. Vogliamo fare in modo che ci sia una cartella clinica informatizzata unica e strumenti uguali, per sviluppare un approccio metodologico al paziente con una base comune tra Lodi e Codogno».

Inevitabile un parallelismo tra l'oggi e ls tragica notte del 20 febbraio: «Ho sentito una forte presenza dello Stato - ricorda il dottor Paglia -. Furono convocate le unità di crisi aziendale, regionale e prefettizia. La decisione di chiudere il pronto soccorso venne presa concordemente».

«Quella sera - ha concluso Paglia - subito dopo l'accertamento del paziente 1 abbiamo avuto la certezza di essere nel pieno di un'epidemia.

Un unicum nella storia della medicina di igiene e prevenzione in Italia».

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